Wednesday, August 21, 2019

Mercoledì 21  agosto 2019

L'Isola che non c'è

Ab Ovo  -  Duemilasette, iniziò il dramma  -   edit 32


I due volumi "Campo di ortiche" e "L'isola che non c'è" sembravano per ora terminati. Subiranno ovviamente le dovute revisioni, correzioni, integrazioni che non ne straviseranno il contenuto. Campo di ortiche parte con l'infausto 17 luglio Venerdì del 2015, tempo di ferie, (e c'è chi dice che il 17 e il Venerdì non portino sfortuna) continuando poi con il 16 dicembre 2018, alle porte del Natale. Furono due cadute-incidenti impietose, per me e mia moglie la prima, solo personale la seconda, di quelle che lasciano un segno tale da poter essere devastanti o letali cui si aggiungono, come sempre, più complicazioni. 
Però per la correttezza di questo iter malefico ho notato mancare l'inizio, la genesi, che generò poi il tutto. Infatti il calvario che mi ha, ci ha colpiti, era iniziato effettivamente il 10 luglio del 2007, durante le vacanze calabre nella villa di mia figlia sull'Aspromonte Silano (Rossano). Eravamo io e Diana con due sorelle salamandre e mariti succubi. Mia moglie, dopo dieci e più ore passate incoscientemente sotto il Sole di Calabria con 45° - 50° all'ombra e più, malgrado i miei ripetuti inviti a rientrare e dopo tre giorni che la radio locale invitava anziani e bambini a usufruire della spiaggia soltanto nelle prime ore mattutine o serali (inutile mitigare i suoi raggi con un banale ombrellino o una leggera cannicciata). Ed ecco che finalmente rientrati lei cada stecchita in terra, in un lago di sangue uscente copioso dalla tempia destra. Il disastro fisico è evidente. E' viva? è morta? sta per lasciarci? E' bianca come il latte, gli occhi sono fissi, il respiro non c'è, altrettanto il polso. Siamo pure soli. una delle coppie si era attardata altrove, l'altra ha il marito che di fronte all'evento è semplicemente scappato, sparito, dove è non si sa. Mia cognata "la salamandra", la maggiore responsabile di questa cottura di corpi e di cervelli, è sul piazzale antistante l'ingresso a gridare "aiuto! aiutateci!" rivolto a chi non so, visto che la prima villetta, per ora disabitata, è a quattro-cinquecento metri. Restano con me un tubista di paese e il figlio minore che avevano appena terminato un lavoretto idraulico (col papà che chiama immediatamente una ambulanza). Mi convinco, Diana non c'è più, e ricordo le parole di mia figlia medico: Papà se ti trovi in emergenza e di mezzo c'è un morto, chiunque sia, non entrare in panico e considera il corpo non come fosse un ex-umano, ma una cosa, niente di più! Allora via panico e disperazione, solo determinazione a provare di rianimarla. Risento il polso, nulla, così per il respiro. Mi pongo a cavalcioni su lei e giù colpi sulla cassa toracica con le mani a pugno per riattivare se possibile il cuore. Nulla di nulla. provo la respirazione bocca a bocca prolungata, inutile. Infine, estrema ratio, ho un'idea, tanto perso per perso non danneggio alcunché; chiamo il tubista e gli dico: .... "fammi avere tramite tuo figlio quanti più secchi d'acqua puoi e passameli, dalla cucina al soggiorno sono pochi passi, iul secchio è accanto il lavandino" .... 
Si avvia così una doccia continua e forzata, ogni secchio viene svuotato a colpo sul capo di Diana mentre è già pronto il successivo. Con l'acqua che finisce sul pavimento, il tanto sangue uscito e continua a farlo, siamo immersi in una specie di lago rosso. Dieci secchiate e nulla di nulla, quindici, nulla, attorno la ventina lei ha un singulto tracheale per del liquido che ha ostacolato il condotto aereo. Urlo: "E' viva! è viva!" non tocchiamola, l'ambulanza è già chiamata. (impiegherà più di un'ora per trovarci, si era persa nel viottoli dell'Aspromonte). Poi penoso ricovero all'Ospedale della cittadina che non commento, con mia figlia medico che dalla Lombardia predispone per un ricovero urgente a Varese, ove giungeremo dall'aeroporto di Vibo Valentia con l'Alitalia che ci facilita in cento modi. Dall'Ospedale lombardo avremo conferma di ciò temuto. che Diana avesse subito un ictus cerebrale dei non peggiori, pur sempre un ictus che lascerà il segno. Infatti da allora, tornata apparentemente alla normalità, lei inizierà a cadere inaspettatamente in casa e fuori, sempre in maniera rovinosa vista la caduta di faccia e il suo non proteggersi con mani, avambracci braccia. Al Pronto Soccorso dell'Ospedale romano Sant'Eugenio eravamo ormai noti e per tre volte venni chiamato, una dal Primario del P.S., due dal posto di Polizia Ospedaliero, onde accertarsi non fossi io l'eroe delle violenze sul suo volto e naso. Poi le cose gradatamente peggiorarono ed eccoci al 17 luglio 2015 (ahi!), che toccò il culmine da cui ne uscimmo malamente, per mia moglie con ecchimosi, storture e una mente ancor più disturbata, dopo un tentativo di farla finita da un nostro balcone e io che, per salvarla (ce la feci un'altra volta), mi trovai con tre costole rotte, una lacerazione di cinque centimetri del muscolo bicipede, oltre due vertebre gravemente offese dalla caduta di spalle (D12 e L4), con mia moglie al di sopra e la spina dorsale che impattò sulla barra metallica di chiusura della finestra del saloncino (stesse vertebre che pochi mesi dopo collassarono con dolori e conseguenze immaginabili). Ne nacque un libro "Campo di Ortiche", che oggi si arricchisce doverosamente di una ulteriore pagina di apertura, quella dell'anno 2007, oltreché della seconda parte finale concernente il mio incidente del 16 dicembre 2018 in cui, un po in conseguenza del tutto, mi procurai una poli-frattura del femore sinistro e una emorragia interna che sembrava inarrestabile (combattuta in modi vari ma soprattutto con 10 sacche di sangue, l'intero mio, con quel che ne derivò, inclusi otto mesi di ricoveri vari e un mio spaziare semi-onirico in un diverso livello esistenziale da cui nascerà l'Isola che non c'è, seconda parte di Campi di ortiche. Anni dal 2007 al 2019, ben ventidue che io, mia moglie, tutti i miei, ne restammo colpiti, frastornati e, perché non dirlo, anche un alquanto impoveriti come finanze.


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