Monday, October 15, 2018

Ottobre 16 2018 Martedì. n° 2714 + 17 NS  (nuova serie). Pensiamo positivo. 

Recordatio 
          Cronache anni 30-40  La scuola dei “grandi” 
Torno ai miei studi. M’iscrivo all’Istituto Pietro della Valle in viale Manzoni. E’ un edificio non recente, ampio, con un giardino, ove vado ogni giorno a piedi con un tragitto sui tre chilometri (i soldi per il tram non ci sono e se li ho, li tengo per me). Oltretutto non c’è una linea tranviaria o autobus agevoli. Porto in borsa una colazione da adulti, un mezzo filoncino con un velo di burro e un’alice, o zucchero, a volte due fettine di salame, che mia madre prepara come faceva per mio fratello. Anche qui passerò due anni con professori e compagni che poco varieranno, pertanto ne parlo globalmente, come per le inferiori. Nella classe, sempre maschile, sono presenti sia degli amici dell’istituto Carlo Moneta, sia altri che vivono nel palazzo. Vari sono nuovi ma non ci perdiamo in convenevoli ed è come fossimo assieme da sempre. Per quanto riguarda i professori essi sono positivi e concreti. La insegnante di ragioneria e computisteria (Bennati) è non solo brava e di polso ma anche giovanile, bionda e bella, cosa che non guasta. Quella di lingue invece è sciatta e bruttina, ci insegna un inglese forse corretto ma lontano anni luce dalla realtà parlata, per di più con un’inflessione campana. Ci accorgiamo delle nostre mancanze quando i tedeschi raggruppano un alto numero di prigionieri alleati in un vicino salone di sferisterio. Li possiamo avvicinare ma, sebbene i due anni di studio, non riusciamo a capire una parola e loro a capire noi; ce la caviamo con frasi fatte o scritte su fogli, ma pure in questo caso le costruzioni sono talmente diverse che lo scoramento è alto. La professoressa si giustifica dicendo che abbiamo incontrato americani e non inglesi, e ciò non era vero, erano misti, poi ammette di non aver passato un solo giorno in Inghilterra o in paesi anglofoni e che il problema dell’inglese è, e rimarrà sempre, la pronuncia. Abbiamo risultati migliori con alcuni mesi d’insegnamento del tedesco, svolto da una segaligna insegnante di madrelingua che, quando parla, sembra di ascoltare i discorsi di Hitler. Lei declama a volte poesie ma a noi paiono dichiarazioni di guerra. Comunque il tedesco si rivela più fonetico e impostato dell’inglese, cosa che ci consente modesti risultati in qualche approccio con i militari Wermacht, allora nostri alleati. Questo corso dura poco, segno dei tempi che cambiano; un giorno la professoressa non c’è, dicono sia malata, non la vedremo più. Dopo poco si parlerà inglese o italo- anglo- americano. Perfino il francese, considerato sempre come base di cultura e diplomazia, sarà ignorato di fronte l’imperante inglese. Pure in questa scuola abbiamo una professoressa di scienze giovane e avvenente, almeno per noi, che abbiamo fantasticherie sessuali in rapido sviluppo (un alunno, bravo in disegno, tenterà di ritrarla nuda). L’insegnante di matematica è talmente bravo, e la materia mi piace, da accorgermi dopo decenni, dovendo dare un aiuto a figli e nipoti, quanto la materia mi fosse stata a suo tempo insegnata bene. In italiano abbiamo un professore pignolo, patito dell’analisi logica e portato alla letteratura moderna; per suo merito ho cominciato a leggere autori ai quali mi sarei difficilmente accostato. L’appunto che gli rivolgo è che fuma troppo, anche in classe (evidentemente non era proibito), e l’arrivo e uscita sono preceduti e seguiti dallo sgradevole odore delle sue sigarette. Altra materia, poi in disuso, è la stenografia, per la quale vinco un premio e ricevo in pagella il voto di nove. Trovo buon interesse anche nella frequenza dei laboratori di dattilografia e calcolo meccanico (un preludio all’informatica di oggi), e di fisica e chimica, che mi spingono a realizzare curiose costruzioni e tentare esperimenti pericolosi per realizzare un irrealizzabile motore a idrogeno. Nell’insieme la classe studia e quando arrivano gli esami siamo tutti promossi, pur se alcuni ripareranno qualcosa. Per quanto mi riguarda, ricevo un appariscente diploma con media superiore all’otto. La festa è guastata dal solo punteggio in calligrafia, che è inspiegabilmente sei e sadicamente scritto in rosso. Sono inferocito perché non ritengo di meritarlo, la mia calligrafia non è male specie nel gotico antico, moderno e lettere capitali. Qualche difficoltà l’ho incontrata nel corsivo inglese, considerato non ottimale da un’esigente professoressa, ma ciò non giustifica il “sei”. C’è poi che il successivo abbandono della materia inciderà tragicamente sulla scrittura dei figli e nipoti. Sono fiero ad ogni modo del risultato raggiunto, ho conseguito un diploma utile, spendibile immediatamente nel lavoro. Con questi studi sarà per me facilitato il completamento di quelli futuri per la maturità commerciale e, se non altro per l’impostazione ricevuta, anche per i successivi universitari. Con più amici conveniamo di restare in contatto per aiutarci nel trovare un’occupazione. Con la professoressa di Ragioneria ci accordiamo per rivederci e, in effetti, ci si incontrerà. Pochi giorni dopo gli esami ci sarà il primo bombardamento aereo di Roma, che colpirà le aree di San Lorenzo e stazione Tiburtina, nei pressi anche della scuola. Ne parlerò poi. Uno della classe sarà ucciso; lo troveranno senza testa nella piazza di Porta Maggiore; ne faccio il nome, Filippo Mastroianni, sedici anni. Durante i due anni di studio al Pietro della Valle ho l’opportunità di stringere amicizia con un professore italo - usa di matematica e filosofia proveniente da Boston, di origine ebraica, perseguito in America dalla mafia per degli eventi a lui estranei, dei quali comunque fu involontario testimone, e così in Italia, una volta rimpatriato, sia per le leggi razziali poi emanate, sia per le  persecuzioni naziste. Il nostro rapporto sarà per me molto formativo pur se egli, per sopravvivere, svolge il lavoro di sarto, professione paterna e della sua giovinezza. Siamo stati amici fino alla sua morte, ed egli, che ho considerato sempre tale un padre, ha influenzato durevolmente la mia vita. Di ciò ho parlato in questo volume. La panoramica del periodo scolastico e della situazione del tempo trattati in questa parte termina alla metà 1943. Il secondo semestre, alquanto più impegnativo del primo, lo espongo nel capitolo successivo.

Probabiliter
Mi sono sempre chiesto se alcune opere rientrino fra quelle civili o  quelle cristiane, mah! chissà! 
      L’ottava opera di misericordia 
Questo modo di fare del passato è fra quelli da me evidenziati in data recente, in occasione del funerale di persona amica. All’epoca del Duce si nasceva di più e si andava all’altro mondo con maggiore facilità, visto che la vita media maschile era sui settanta anni, donne qualcosa di più, a cinquanta si era anziani e a sessanta poi indiscutibilmente vecchi. Ciò io e i miei coetanei lo ricordiamo bene. Che i tempi fossero diversi, lo stato della medicina, chirurgia, cura del corpo e della vita arretrati rispetto oggi nulla ha a vedere con la positività del regime, al quale dobbiamo riconoscere di aver fatto fare al paese notevoli passi avanti da quella che era l’Italia povera, contadina, arcaica dell’epoca liberale, la quale offriva protezioni poche e scadenti ai lavoratori, famiglie, tutti, spesso proprio niente. Ciò premesso lascio il passato e vengo ad oggi. Un coetaneo amico, trasferitosi in un piccolo centro vicino Roma, mi dice: …”le cose positive del vivere in campagna? Tante, pur se le negative non mancano. Ad esempio senti queste campane a rintocchi? indicano che è prossimo il funerale di qualcuno. Ora, a parte la cerimonia non allegra, mi dici quando le odi più in città? O non muore nessuno o le hanno abolite. A me, uso ormai al paese, i tocchi mi spingono a meditazioni sia pur fugaci. Ricordi quando ragazzini ci chiamavano per suonare le campane per la messa, per Pasqua, Natale o per un funerale, e il nostro impegno a farlo bene, scandendo i tempi e i toni da utilizzare? C’è che oggi la gente va all’al di là ugualmente ma a Roma, o altro centro, l’evento dà fastidio, non interessa; un furgone, fiori, una cerimonia sbrigativa e via, verso uno dei depositi di salme e non sottoterra come sarebbe giusto”. Il discorso prosegue su un particolare che illustro brevemente. Il Partito, o qualcuno dei funzionari dal cervello minuscolo, ci spinsero ad un agire che ho sempre ritenuto meschino, inventandosi una ottava opera di misericordia oltre le sette della dottrina, cioè “salutare i morti”. Mi spiego: A noi balilla il Comandante, in una riunione del Sabato, ci tiene un discorso di indirizzo comportamentale che poi significava un ordine d’applicare. E ciò dovrebbe essere avvenuto pure con i più adulti, fossero uomini o donne. Disse: …”è ora di smettere con la pratica del segnarsi con la croce quando si incontra un carro funebre. E’ una pratica da beghine, bigotti, preti, non consona ad un popolo maturo come il nostro ed allora, per salutare il defunto che, uomo o donna, giovane o vecchio, è stato pur sempre un Fascista oltre che italiano, anziché farvi la croce scatterete sull’attenti e farete il saluto romano. Poi, se il caso, direte ad alta voce “Presente!” specie se egli è conosciuto, è maschio, non escludendo le donne se importanti (ahi la discriminazione!). Il “Presente” è poi obbligatorio in divisa. Alla GIL dirò che lo farete”... Li per li non ci ponemmo problemi e ai primi carri incontrati, per me parecchi visto che abitavo in prossimità di due chiese, alzavamo il braccio destro con la palma aperta. A volte ci scappò anche il “Presente”.  Che fosse l’idea penosa di qualcuno con poco da fare ne avemmo la prova in quanto, assieme a noi balilla, un bel po’ di adulti, mia madre esclusa mio padre no, iniziarono anch’essi a alzare il braccio.  Faceva effetto, sembrava vivere in qualche adunata che non terminasse mai. Salutare un morto! Col rischio pure di sentirsi rispondere “A Noi!” dall’interno della cassa.  E se non gradiva? E se in vita fosse stato un antifascista? E se, pur cristiano, fosse di razza israelitica? E se ateo o contrario al Concordato del Duce? E se non avesse gradito di essere salutato a braccio teso? Quesiti posti man mano che i miei anni salivano, eppure non sollevammo problemi per questa pratica ideata da chi si inventerà dopo poco di mandare in giro giovanottoni in calzoncini corti i quali, dati i tempi e luoghi (non ci trovavamo al mare) era cosa obbrobriosa con l’esposizione di quelle gambe dritte, storte, a stecco (su ciò c’è un inserto). La pratica di salutare i morti durò fino al 1943, poi riecco il segno di croce, non bastano circolari per radicare atti diversi dai consueti. Così, a parte questa ottava opera di misericordia: “Salutare i morti”, fosse nata almeno la nona, cioè “Salutare i neonati” che allora si sfornavano come funghi per far piacere al Fascio in quanto la nascita dell’ennesimo balilla o piccola italiana, in futuro soldati o procreatrici, costituiva una normalità scontata, degna di essere considerata in pochi casi, cioè quando si erano raggiunti almeno dieci pargoli e allora poteva scapparci la foto con l’ultimo nascituro in braccio alla madre, contornata dalla tribù e da un allucinato genitore - marito, pubblicata sulla Domenica del Corriere, assieme alla consegna di qualche premio il quale, in misura più modesta, veniva elargito anche alle famiglie con “soli” sei - sette infanti (ben lo sapevano i miei futuri suoceri con la loro pletora di prole). E tutti ad attendere questa beneficenza del Duce che non abbandonava nessuno, purché ci fossero tanti maschi e un po’ di femmine (senza esagerare!)  Per i morti no, non c’erano contributi, salvo se soli e abbandonati, in tal caso sarebbe intervenuto uno sbrigativo servizio comunale. I defunti poi, specie se anziani, non generavano eccessivo dolore. Era una bocca meno da sfamare, una pensione da non pagare, posto la percepisse, uno che da vivo al futuro dell’Italia imperiale serviva ormai poco. Ai funerali si diceva: ”bene, è all’altro mondo, ma aveva quasi settanta anni! stava in pensione da troppo ed era malato di tutto (solo della vecchiaia dei sessantenni d’allora)”. Ah Duce! quante cose buone hai fatto e quante di non positive! ma questa del saluto romano e del “Presente” ai defunti, aggiungo i calzoncini dei giovani alti un paio di metri, tutte assolutamente inutili, sono idee nate da qualche meschino che dopo il 1943, si sarà applicato a ideare altre idiozie per i capi che verranno.

Consideratio
Torno a chi ha cancellato il mio blog con 14 anni di tre inserti giornalieri. dedicato al periodo storico dal 1900 a oggi, con riguardo agli anni che mi coinvolsero, 30-50 e a seguire. Sa bene di aver compiuto uno dei peggiori misfatti del vivere civile, l'attacco alla libertà di espressione. Sappia pure che quasi tutto il materiale, enorme, è stato recuperato, faticosamente lo ammetto, negli scritti presenti in Word, oltre nei miei diari. E tutto ciò per aver parlato con vivacità e equilibrio pure di Mussolini o Fascismo? Biechi resistenziali, sareste stati fermi se avessi detto di Stalin, Tito, AngloUsa visti dal lato migliore, sia mai detto per le loro atrocità e olocausti nascosti? Per il futuro fate come volete, mi sono premunito per proseguire una 3°, 4°serie.. del blog finché Dio vorrà, visti i miei 92 e più.


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