Sunday, October 7, 2018

Ottobre 08 2018 Lunedì. n° 2714 + 12 NS  (nuova serie). Pensiamo positivo. 

Recordatio 
Da Diari di Vita -  Vita novella
Nella nuova casa trovo comodità, interessi, amici, prati ove giocare. Frequento anche la Villa Fiorelli che è di fronte le finestre, con mia madre che stende un canovaccio su quella della cucina quando comunica che il pranzo è pronto o si debba rientrare. Ho già detto che siamo al quinto piano, non ci sono ascensore né riscaldamento e, almeno per ora, nemmeno il gas, che verrà allacciato in seguito; frattanto utilizziamo il carbone fornito da un vicino carbonaio - varechinaio, sempre coperto di polvere nera, figura già rara allora e destinata presto a sparire. Farsi cento gradini più volte il giorno per salire o scendere non mi crea problemi, forse non sarà così per qualche anziano o malato, ma quanti sono gli edifici che oggi hanno l’ascensore? Non certo quelli di lavoratori come il nostro. Altrettanto per il riscaldamento, nessuno si aspettava di trovarlo, pure questo è nelle case signorili e, per quanto ci riguarda, non resta che arrangiarci. Abbiamo due camere, una maggiore e una minore, il bagno, finalmente con la vasca ma non il bidet, una cucina utilizzata sia per consumare i pasti, sia da mia madre per i suoi lavori di cucito; il corridoio immette in tutti i vani. Non c’è balcone, sia da noi sia negli altri appartamenti. Saranno circa sessanta metri quadri ma rispetto la precedente è una reggia ed è nostra, non è poco. Mio padre l’ha avuta iscrivendosi a una cooperativa della società ferroviaria ove lavora, come tutti gli altri aderenti, così si è creato un insieme di proprietari omogeneo. Poi saprò che egli aderì all’iniziativa cedendo alle insistenze di mia madre, forse incinta, e mia nonna, poiché era titubante ad accettare un impegno che prevedeva una spesa di quasi novantamila lire d’allora, cifra enorme, sia pur rateata con un mutuo trentacinquennale, con quote mensili sulle 200 lire, oltre le spese condominiali. E ciò con una paga sulle sette - ottocento lire e mio padre che aiuta la sua famiglia, genitori e sorelle. Questo porterà che in seguito, e per alcuni anni, come farà la maggior parte degli altri condomini, si subaffitterà a qualcuno la camera minore per recuperare un centinaio di lire mensili. Per quanto ci riguarda, dopo un paio di tentativi, troveremo come subaffittuaria una famigliola marchigiana con una figlia della mia età, con cui ho le prime infantili esperienze sessuali (lei mi fa vedere culetto e cosina ed io il pisellino, nell’ignoranza assoluta di cosa si stia combinando). E’ evidente che in questo periodo dormiamo in un’unica stanza, la maggiore, ma ciò non costituisce sacrificio, ci siamo abituati e non sarà per molto. Rivedo ancora il giorno del trasloco, la camera ingombra di mobilio e oggetti che devono essere sistemati. L’orologio a pendolo è in terra, ritto contro il muro, la mia curiosità mi spinge a toccarlo ma esso scivola e sarebbe caduto se non avesse trovato un pacco a impedirlo. Pur spaventato, non rinuncio a giocare con la calamita e il proiettore a lastre che avevo già maneggiato sul marciapiede. Poi con faccia tosta chiamo mio padre e gli faccio notare che l’orologio sta per cadere; e lui: “bravo, poteva rompersi!” (inizio a capire come va la vita). Finalmente dormo in un letto mio, questo lo ricordo, seguo mia madre al mercato di via Orvieto, unico in zona e alquanto lontano; io stesso mi reco quotidianamente ad acquistare il pane in un negozio gestito da due fratelli marchigiani, conoscenti di famiglia, che segnano la spesa, regolata poi mensilmente da mio padre. Ricordo che eravamo in molti a comprare il pane raffermo, non fresco, evitandone così un consumo eccessivo. Faccio in modo comunque di ricevere una piccola giunta di pizza all’olio, che mangio voracemente strada facendo. Una volta in questo negozio mio fratello, per prendersi una rifilatura di mortadella dal piano di un’affettatrice, mette incautamente la mano nella macchina al momento di attivazione, con la conseguenza di subire un vistoso taglio in un paio di dita, rivelatosi, fortunatamente meno grave del temuto dopo la cucitura della ferita al Pronto Soccorso, con segni ancora ben visibili.

Probabiliter
Convergenze parallele parte 1 di 3
Una società civile è stata sempre un mondo complesso, anche col Duce. Non espongo un fatto, ma uno status del periodo del Duce. Non molti anni fa s’inventarono il termine convergenze parallele, problema irrisolvibile geometricamente quanto possibile in politica. Queste strane convergenze fecero capolino anche col Fascismo. Mi spiego: Da sempre esistono e esisteranno mondi separati, destinati a incontrarsi poco, pur se il Duce s’illuse di poter accentrare nel regime ogni istanza del popolo italiano. Pensiamo al mondo monarchico, riservato, geloso, al nobile, con più sfaccettature (sabaudo, vaticano, borbonico, asburgico….), a quello della Chiesa, dogmatico, superiore. Potrei dirne altri, mi fermo qui. Essi decidevano di volta in volta se entrare in contatto sia fra di loro, sia con le istituzioni pubbliche o no, eventualmente collaborandoci, senza mai rinunciare alla loro basilare autonomia, freddezza e refrattarietà. Presi atto di questo stato di cose perché nell’ultimo anno di studio della Mistica Fascista, propedeutico ai futuri corsi dell’Istituto milanese, m’incontrai con dei rampolli della nobiltà romana che, per convinzione, hobby, sfizio, frequentavano la GIL facendo ben capire che ciò avveniva per loro gentile concessione, non altro. Conobbi così Francesco, famiglia di principi, Franco, di Conti laziali romanizzati, Clemente, altro Top con dietro cardinali e papi, Lapo, o Leopoldo (ne ho parlato) di nobiltà tosco-papale e qualche altro. Il promotore del gruppo che mi aveva accettato era Francesco il quale, onde evitare confusioni di nome, mi chiamava “Franci”. Fra loro definivano Lapo, un amante dei bucatini all’amatriciana, Lapo Della Ventresca mentre Clemente era “sua Santità”. Si trattava di papalini doc, i cui padri e nonni snobbarono i nuovi nobili chiamati dai Savoia per compensare i romani che li consideravano gretti, usurpatori, montanari, e li rifiutavano nei loro palazzi. Circa il Duce poteva pure essere accettato, malgrado il suo mondo fosse quel che era e di più non si poteva pretendere. C’era però che Lui li rispettava e riusciva a tenere a bada più di 40 milioni di italiani succubi e riottosi, ancora in condizioni di abissale arretratezza. Francesco decise, con indizi labili per me ma per lui concreti, dopo aver notato alcuni avi dell’albero geneaologico di mio nonno e consultate le sue fonti, che io orbitassi nei nobili Mancini-Lucci romano-laziali, già presenti nel 990, con stemma riportante due pesci (lucci) in campo azzurro, e palazzo in via del Corso, ceduto poi ai Salviati (oggi Banca Nazionale Agricoltura) nonché, indirettamente, al Cardinale Mazarino, succeduto a Richelieu, la cui sorella sposò Michele Lorenzo Mancini e le di cui numerose figlie vennero rifilate al Re Sole e entourage, nonché a Sabaudi e altri, quali amiche-amanti-mogli, come Cavour fece con la contessa di Castiglione e Napoleone III. Mio nonno paterno era felice nel sentire queste possibilità nobiliari lui che, coi suoi padre e nonno, ricordavano Umberto I, Pio IX, Vittorio Emanuele II e magari Carlo Alberto, nonché era certo, per puro convincimento, di una altolocata posizione dei suoi avi agricoltori, soldati, nobilastri, da sempre con lo Stato della Chiesa e Papa, pur se accettò non entusiasta l’Italia Sabauda Abbandonai l’idea, suggerita da Francesco, di tentare un riconoscimento ufficiale, non era semplice e costava troppo, mi bastava sapere un pò della mia possibile ascendenza e essere da loro accetto. Con Francesco divenimmo colleghi di lavoro pur se, per la sua posizione, egli si trovò sempre più avanti di me. Nella trattoria solita se chiedevamo una pizza in due veniva tutto lo staff a riverire il signor principe e per riflesso me, solo un Mancini-Lucci. La sua casa era nell’ala di un palazzo in Via Giulia, il Corso dei Papi, e non dico ciò che conteneva. Comunque a questi giovani amici, pur con le loro ricchezze statiche, c’era che i genitori lesinassero spesso il contanti (per me ne avevano troppo), così s’industriavano lavorando più o meno convinti, per affermarsi facilmente, senza vera necessità come era per noi, facilitati da appoggi plurimi. Anch’essi influenzeranno la mia vita nel dopoguerra e oltre.
Nasce la Divisione DECIMA parte 2 di 3 
Ho detto qualcosa su dei giovani nobili romani, e per riflesso su altri d’ogni dove, per un motivo. Giungere cioè a parlare di colui che considerai sempre un Capo eccelso, nobile e particolare, cosa fatta più volte nei miei testi La guerra finì male, come sappiamo, l’armistizio dell’8 settembre 1943 fu una catastrofe, ne seguì che l’Italia del rispetto e dell’onore si mise in moto. Così, fra i non molti, il Comandante Principe Junio Valerio Borghese mantenne il controllo della sua XMas, basata a La Spezia, che non si dissolse e non ammainò mai la nostra bandiera issata all’alto della Caserma. Insisto sulla “sua Decima” in quanto il Principe, pur scegliendo poi di operare nell’ambito della Repubblica Sociale e degli alleati germanici, non derogherà dal principio di autonomia sia dall’esercito di Graziani, sia dal neo Partito Repubblicano e dai tedeschi, trattando con tutti a livello di parità e dignità, subendo addirittura persecuzioni e carcere da parte dei fascisti. Ci fu chi disse, magari esagerando, volesse regolare a modo proprio i sospesi coi Savoia risalenti al 1870 per la Roma tolta al Papa le cui ferite, mai rimarginate, i suoi si portarono dietro per decenni, nonché ritenesse doveroso rispettare gli impegni con l’alleato tedesco, agendo però come italiano libero e non come fascista, o filonazista, o comunque di parte. Egli mantenne rapporti da “principe” con la RSI e con la Wehrmacht, nonché con diversi del Governo del Sud, gli alleati, il Vaticano. Poteva permetterselo. Alla fine d’Aprile 45, quando tutto crollò, venne protetto perfino da un capo e gruppo partigiani. Del Principe ho già parlato, nei limiti concessi dall’impostazione dei miei volumi, sia in Fiaccole di Gioventù, sia in questo testo, ai cui inserti rimando. Riepilogo solo per dire che divenne l’alfiere di una Italia nuova, libera, indipendente, e le gesta dei marò furono tanto positive quanto eccelse. Gli alleati lo processarono e lo assolsero, i nostri no, lo condannarono a un po’ d’anni di reclusione (dodici?) per collaborazione coi tedeschi ma, in effetti, tornò presto libero. Al processo non si sapeva chi fosse l’imputato. La sua idea di creare un corpo speciale combattente si concretò all’interno della marina, nel ristretto stuolo dei suoi fedeli, nonché negli ambienti romani e centrali. Più famiglie e esponenti di livello l’appoggiarono, sostennero, approvarono. Tutto nacque forse col placet vaticano e frange governo di Bari. Io e i miei amici (ero o no un Mancini-Lucci?) sapevamo più cose circa questo iter pur se, per l’età modesta, almeno anagraficamente, le conoscenze erano soprattutto di “ritorno” dai più grandi. Il Principe Borghese stimò Mussolini, lo considerò un grand’uomo ma non lo deizzò e non si legò né a lui né al carro fascista. Egli tenne a evidenziare al Duce e altri che avevano di fronte un libero principe romano, pari un Condottiero dell’epoca imperiale e medioevale, cavaliere di razza, anima e corpo, in un tempo in cui questi valori si apprestavano ad andare in decozione. Io lo vedevo come il Re Artù della Tavola Rotonda, attorniato dai suoi prodi. La divisione “Decima”, che nascerà dalla X MAS, accolse il meglio della gioventù volontaria, conscia ci si dovesse battere per l’onore e cercare di salvare il “salvabile” del paese. Feci carte false per andarci a sedici anni ma, già detto, ero grande come mascotte, piccolo per Marò. Finii per fare un po’ di mesi nei servizi ausiliari tedeschi e ciò non mi dispiacque affatto. Comunque alcuni rampolli “in” della mia età vi vennero accolti, le raccomandazioni snob c’erano anche allora. Negli anni successivi venni accettato, con pochi altri, a soggiornare con la mia roulotte, quando era ancora un oggetto di lusso e non da zingari, nella immensa tenuta Borghese (altro ramo ma da lui facilitati) di Tor Caldara, ad Anzio-Lavinio, nel punto ove sbarcarono gli inglesi nel 1944. Il Principe rimase un riferimento per molti pure nel dopoguerri e di alcuni eventi e aspetti ne ho accennato in altre parti dei miei scritt

Consideratio Conclusione parte 3 di 3 del sovrastantNoblesse
Tornando a me mi trasferii per vari anni in Lombardia e Nord in genere. Quando rientrai il mio amico Francesco, il Principe cadetto, compagno di lavoro e imprese speciali, se n’era andato improvvisamente, senza preavviso. Avevo perso un po’ i contatti e per un breve periodo non gli comunicai il mio ultimo spostamento e indirizzo, in quanto ne ebbi più di uno, altrimenti sarei stato avvertito. Pure Lapo, tipo estroso e imprevedibile, dopo non molto ci lasciò per qualche inaspettata complicanza, oggi magari risolvibile senza eccessive difficoltà. Strane queste dipartite se viste nei tempi attuali in cui ci crogioliamo tutti in una supposta eternità. Quello però che più mi colpì fu’ Clemente, detto Sua Santità, del quale non posso dire d’essere stato vero amico (viveva nel suo mondo “elevato”, troppo, nel quale fui accetto in misura minore e marginale). Mi dissero che aveva perso la battaglia contro un tumore cerebrale, tutto nel giro di una manciata di mesi, lasciando distrutti i genitori e interrompendo la discendenza del ramo (ah, i figli unici!). Gli intesteranno un Ente Assistenziale. Dei nostri d’inizio restarono Franco, il Conte laziale, in giro per le ambasciate del mondo ed io, collegato forse ai Mancini-Lucci, anzi Mancini de Lucij o de Lucii, come Francesco stabilì. Mi viene da sorridere al pensiero che Mussolini avrebbe voluto indirizzare, impostare, abolire, a favore dell’Italia Fascista, la robusta nobiltà romana e laziale la quale, solo avesse voluto, l’avrebbe eliminato in un batter d’occhio (anche se gli “prestò” i Colonna, Cremonesi, Doria-Pamphili, Torlonia, altri, con quest’ultimo principe che gli cedette la sua Villa sulla Nomentana al canone figurativo di una lira l’anno, ritirandosi in una dependance interna). Ciò a valere anche per la monarchia sabauda, allora ben radicata, tanto che malgrado la guerra persa, e le vicende di Bari, essa perse solo per poco il referendum istituzionale del 1946. Poi la chiesa e sue colleganze, con la quale s’andava d’accordo per disposizioni, non convinzione. Quest’ultima inoltre, con la sua millenaria esperienza, sarebbe stata essa in grado di accantonarlo senza difficoltà e non viceversa. Non parlo poi di massoneria. No! il fascismo e il Duce errarono nel sottovalutare l’autonomia, la personalità, le possibilità decisionali ed operative di questi mondi paralleli, sempre fra loro in lotte più o meno palesi e intestine, ma uniti ferreamente e indiscutibilmente se si fosse tentato di toccarli, limitarli, colpirli. Tempi, uomini, convergenze remote. Quasi tutti i protagonisti se ne sono andati o pronti a farlo. Chi ricorderà più di ciò quando il ciclo sarà chiuso?


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