Friday, September 7, 2018

Settembre 07- 2018 Venerdì- n - 2714 più 6 nuova serie - pensiamo positivo
Recordatio 
Sto crescendo
Anche di mio fratello, cinque anni di più, ho scarsi ricordi. Lo sento poco amico come si può desiderare all'età di due - tre anni; all'epoca sono troppo piccolo per lui e lui troppo grande per me. Lo rammento comunque col grembiule blu e il fiocco della scuola, con i calzoncini neri, il vestito e il berretto da marinaio, in divisa da balilla, nonché impegnato in baruffe fra bambini per difendere me e in qualche scontro fra noi due ove, per ovvii motivi di età, sono destinato ad avere la peggio. Comunque è il mio protettore dalle angherie dei più grandicelli ed io, purtroppo, non gli porto riconoscenza poiché quello che fa rientra per me nei compiti istituzionali del fratello grande, similmente a quelli dei genitori e adulti della famiglia.Devo aggiungere che nella casa, oltre i nonni, vivono due - tre zie e, a volte, uno zio.Ove dormano non so e di loro mi sovviene poco, salvo l'affetto dimostratomi dalla zia maggiore e l’indifferenza delle altre due.
Mio nonno è anziano, senza pensione come quasi tutti i vecchi ultrasessantenni di allora, scontroso ma simpatico. Parla di rado, rientra la sera, sovente alticcio, dopo aver mangiato qualcosa in una vicina osteria che considera il suo rifugio. Lo valutano poco, guadagna qualcosa gestendo nel quartiere un banchetto per la vendita di dolcetti per bambini (è la figura del "nonnetto", oggi scomparsa). Io ne approfitto per farmi regalare cioccolatini marca Duomo avvolti in carta rossa, bruscolini e altre leccornie. In precedenza egli conduceva una delle postazioni per piccoli servizi ai viaggiatori, allora numerose alla Stazione Termini. a nonna, massiccia, bassa ma non grassa, decisa e di modi spicci, è una burbera-buona che considera mio padre, non mio nonno, il capo della famiglia. Eppure il nonno ha i suoi lati positivi, sia pur poco palesi. Lo capirò in seguito rammentando:
- i discorsi sui suoi papà e nonno, miei bis e tris avi, che in Anagni avevano un po’ di pecore, capre, terra e un molino a pietra, cose chesignificavano un certo benessere;
- il rammarico dell’essersi fatto attrarre dall’urbanizzazione della Roma sabauda;
- la fissazione che la sua stirpe, cioè lui, i suoi, romana d’origine, fosse qualcosa di sostanzialmente importante e indefinibilmente nobile; guai a contestarlo in ciò. Egli, infatti, sulla fine del 1800, fece redigere due alberi genealogici dettagliati della famiglia sua e di mia nonna, che gli costarono varie decine di lire d’allora, un capitale, incaricando a ciò uno dei notai anagnini autorizzati a consultare i registri vescovili e civili, rimasti integri per nove – dieci secoli, visto che Anagni fu coinvolta blandamente nelle invasioni barbariche.
Del suo albero ricordo la presenza di nobilastri nell’entourage del Papa, la loro provenienza da Roma, il trasferimento in Anagni con Bonifacio VIII e poi, per altri, anche ad Avignone, sempre al seguito del Papa. Grazie a questa provenienza romana di secoli prima guai a dirgli di essere un ciociaro frusinate! Non svalutava Anagni ma si considerava più romano di tutti. Quello di mia nonna lo rammento meno pur se il suo cognome, simile a un piccolo centro dell’Emilia Romagna, mi ha fatto pensare, forse errando, a qualche antenato ebraico ivi trasferito dal Papa, magari convertito. Purtroppo questi due poster si sono dispersi col bombardamento del luglio 1943 e a nulla sono valse le ricerche per rintracciarli.Forse si sono smarriti con l’andirivieni dei vigili del fuoco, UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), militari, negli appartamenti svuotiati nell’ala pericolante e pericolosa del palazzo, adiacente quella colpita e distrutta.

PROBABILITER 
Salvataggio
Primo dopoguerra, incontro un superiore dell’altra metà del mio mondo, quello dei preti. Palazzo importante. …“Stasera parteciperà a una riunione, andremo per le lunghe”… (il Voi non c’è più, si è tornati al Lei). Così ci troveremo nella sala convegni di una Sede romana. Oltre il nostro gruppo c’è il Capo, un Monsignore che conta, due che non conosco, un sacerdote USA. Io sono il più giovane, non che gli altri siano poi anziani, pur se un paio sono di media età.Il Capo saluta e per quanto mi riguarda chiede se la mia  passione per il romagnolo (il Duce) è sempre viva, il tutto con una punta “paterna”, senza i probabiliter. Lui era tiepido verso il regime precedente ma contrario al mondo comunista e paracomunista. Precisa: “Ho chiamato anche lei perché serve partecipi a qualcosa che Monsignore spiegherà. Si ricordi che non è obbligato a nulla, salvo il tenersi per se ciò che sentirà. Se ritiene di non partecipare lo dica senza problemi”. Salto i particolari. Il Monsignore spiega che l’ente da lui diretto deve “recuperare” in Slovacchia un prelato di spicco, con due collaboratori, i quali potrebbero trovarsi in difficoltà per accuse di appoggio ai nazisti. Pare si tratti di un collaboratore o simpatizzante di Monsignor Tiso, già capo del governo filotedesco (gli costerà la condanna a morte) ed è stato deciso di sottrarre lui e i collaboratori alle angherie che potrebbero concretarsi a breve, rivolte più che verso loro contro la chiesa e Vaticano. C’è un piano che dovrebbe funzionare. Saranno attivi collaboratori del posto e qualcuno del vecchio e nuovo corso. In Slovacchia e Austria si trovano anche russi, pullulano i Soviet, vi sono repressioni, la chiesa è malvista, si deve essere accorti. Anche l’Italia non scherza, il nord scoppia di partigiani, loro collaboratori, di alleati diffidenti.Precisano che due automezzi, come concordato con gli slovacchi, porteranno a Bratislava aiuti alimentari e, al ritorno in Italia, un carico del loro prodotto nazionale, le patate, oltre i tre da allontanare con un permesso faticosamente ottenuto. Da quello che capisco chi darà una mano in loco saranno degli “ufficiosi”, non le autorità in essere in quanto la situazione è ancora fluida, imprevedibile. Ci prepariamo con quattro autisti, altrettanti di meccanica e fatica, oltre due grandi truck furgonati, mi pare Dodge, contrassegnati coi simboli Vaticani, carichi di sacchetti di farina USA e canadese da 100 libbre ciascuno. Indossiamo sugli indumenti di lavoro un giaccone con strisce bianco   -   gialle che ben indica il mittente del carico.Preparano i documenti, si completano i controlli, diciamo qualcosa alle famiglie e  partiamo.Siamo in viaggio. Non esistono autostrade, le vie sono dissestate e disagevoli, con salite, discese, passi, ostruzioni da rallentare notevolmente la marcia. Evitiamo i centri maggiori per il rischio di qualche assalto al carico e, viaggiando giorno e notte, con soste limitate, nonché riposando nei mezzi che non abbandoneremo mai, giungiamo nel nord   -   est italico, alto Friuli, con slavi che si mostrano ovunque e le terre dal futuro incerto. Poi in Austria, esibendo documenti italiani, vaticani e USA, si unisce a noi un ufficiale che ci accompagnerà alla frontiera slovacca. Superiamo Villach, Klagenfurt, Gratz e entriamo nell’area viennese. Le campagne paiono non aver sofferto troppo dalla guerra, così non è per Vienna e altre città.Vedo per la prima volta alcuni militari russi che non mi fanno effetto particolare, sono ragazzotti rustici, di livello ben diverso dalle popolazioni locali. Le strade austriache, malgrado la guerra, sono migliori delle nostre. Superiamo Vienna, che non attraversiamo, giungiamo a due passi da Bratislava, nei cui paraggi finirà il viaggio. Traversiamo la frontiera slovacca, anzi cecoslovacca in quanto la recente separazione del paese fra Ceki e Slovacchi, auspicata dai locali e promossa dai tedeschi, è di fatto annullata. Pure qui presentiamo pacchi di documenti.Ci attendono due funzionari che danno il cambio all’austriaco. E’ chiaro che anch’essi siano a conoscenza di qualcosa. Così in breve arriviamo in un immensa area con più capannoni pieni di patate sfuse da sfamare mezza Italia, ove scarichiamo più di trecento quintali di farina, forse quattrocento, mentre degli operai stanno insaccando le nostre. patate (pensavo, errando, le avessimo caricate alla rinfusa).  Sia in Austria che in Cecoslovacchia mi accorgo con piacere che il mio inglese scolastico finalmente funziona, assieme al poco tedesco. Infatti i vari interlocutori avevano studiato anch’essi un inglese con una pronuncia da cani cosicché, pessima la loro e la mia, ci capiamo perfettamente e mi convinco sempre più che il linguaggio degli Angli è si universale, purché ci si tenga alla larga da statunitensi e britannici.  In Slovacchia i russi sono più che in Austria ma si tengono da parte, lasciando le incombenze alle autorità civili. Mentre gli autisti si dedicano al controllo dei mezzi ci rechiamo in due con un vetusto taxi, accompagnati da uno dei funzionari, alla palazzina ove alloggia il monsignore con i collaboratori e altri addetti. Il mio compagno consegna dei documenti, tra i quali dei passaporti diplomatici. Poi fa firmare un atto che ufficializza la loro inclusione in una commissione per regolare i rapporti religiosi col nuovo regime, sul quale è stato concesso di scegliere dei nominativi graditi a Roma. Il rischio è che le ultime autorità, appena insediate, finiscano per non riconoscere gli accordi faticosamente raggiunti, arrestino il monsignore, i suoi, e magari noi malgrado i lasciapassare. Dobbiamo far in fretta, così li invitiamo a tenersi pronti per l’indomani. Il mattino viene completato il carico mentre torniamo dal monsignore e troviamo tutti in clergy-man. L’ufficiale appunta sul petto di ognuno una targhetta che attesta la posizione di componenti una delegazione governativa all’estero. Così torniamo ai camion e subito via. Rieccoci alla frontiera austriaca di primo mattino. Gli accompagnatori fanno preparare i documenti e ci vorrebbe un archivista per ordinarli tutti. I due camion coi colori bianco   -   giallo, la bandierina americana e qualcosa di italiano (bella confusione) mettono di buon umore dazieri e gendarmeria, mentre i funzionari ci dicono di mostrare le carte. Qualcosa viene osservato, ritirano i permessi e permettono il passaggio. I funzionari ci lasciano con una punta di dispiacere; ho anche l’impressione si siano dati da fare per facilitarci e abbiano beneficiato di qualche riconoscimento. Siamo presi in consegna da un austriaco e puntiamo a rientrare subito in in Italia, siamo pur sempre in zona ove bazzicano russi, comunisti e disposizioni particolari. Il ritorno è più agevole e ci prefiggiamo di sostare solo in patria. Così tiriamo avanti e sul tardi, ormai nuovo giorno, varchiamo il confine e tiriamo un sospiro di sollievo. Finalmente in terra nostra, beh! Alto Adige! Decidiamo di tornare tutti a Roma coi nostri truck, anche se affollati, cioè noi e i tre neo   -   accolti (oggi non sarebbe possibile, allora era tutto permesso), in quanto le ferrovie sono in larga parte in disuso e l’utilizzo di uno o due auto avrebbe comportato problemi maggiori per il loro reperimento, la viabilità e i controlli. Alcuni riposeranno per qualche ora in un Istituto locale prima e nel bolognese poi, infine tutti a Roma. Un viaggio tutto d’un fiato (per modo di dire, oggi si impiegherebbe un tempo quattro volte inferiore). In casa non avevano notizie da vari giorni, in quanto era impossibile telefonare dall’estero, quasi altrettanto dall’Italia. In più eravamo stati invitati a non dettagliare sul viaggio.I tempi scelti per noi si rilevarono giusti; poco dopo i giornali diranno che in Cecoslovacchia erano stati arrestati vari ecclesiastici per collaborazionismo e chi in missione foranea dovesse rientrare o, se richiesto, estradato. Ovvio che i nostri non torneranno .Ho parlato di questo episodio in quanto indicativo del clima 1945, quando l’URSS stava cercando di affermarsi nell’est e da noi, nonché per far notare che i tedeschi avevano promossa l’autonomia degli Slovacchi (su loro richiesta e per assoluta incompatibilità coi ceki), i quali diedero perfino un buon contributo alla guerra in Russia, se non erro con una divisione di combattenti SS. Essi in larga parte non erano avversi sia a Hitler, sia a Mussolini, come ebbi modo di parlare coi funzionari, preti e altri; per tutti il Duce era quello che, ancor più dei tedeschi, avrebbe potuto sistemare un po’ di cose in quelle terre complicate, come fatto di recente con Romania, Ungheria, Bulgaria. Ma ora tutta la zona correva il rischio di entrare nell’orbita sovietica. Il Monsignore romano, lo slovacco e i suoi aggiunti, nonché il “Capo”, si complimentarono col nostro gruppo e ricevemmo anche una modesta gratifica, oltre un po’ di alimentari. Sapremo di aver recuperato un personaggio importante, ma non ne sono sicuro e non dettaglio. 


Consideratio
Figli della Lupa    e loro inno  -

   E’ il 1933, ho sei anni, prima elementare, per un po’ sarò “Figlio della Lupa” poi passerò Balilla, mentre per divenire “Moschettiere” dovrò attendere le medie. Una precisazione, i Figli della Lupa dei miei tempi non avevano ancora la divisa con le bande bianche incrociate sul petto . Questa nacque con le norme del 1937 che trasformarono l’Opera Balilla in GIL, Gioventù del Littorio, e definirono regolamenti, divise e varianti. Ricordo che alle adunate nella sede di via Sannio ci andavo vestito da balilletto, più o meno come mio fratello grande. Due vecchie foto scattate da mio padre, ove sono in divisa accroccata e impacciato, confermano ciò. Non dico della poca considerazione nella quale venivano tenuti i Figli della Lupa! già i balilla semplici erano definiti dai moschettieri lattanti, mozzarelle e peggio, ma almeno erano considerati. Noi di norma eravamo ignorati o trattati con saccenza. Poi, siccome qualcuno dei Capi con poco spirito ebbe a dire che eravamo i “pulcini dei balilla” fummo chiamati anche “pulci” in senso spregiativo e, ancor peggio, “pidocchi” (aggiungo pisciasotto), per farci pesare che eravamo nullità e tali quei parassiti. Eppure nelle sfilate collettive, nelle graduatorie per le Leve, negli incontri col Duce e altri, eravamo sempre noi ad aprire la serie dei balilla, avanguardisti e altri. Da ciò ne veniva che non vedevamo l’ora di crescere. Rammento due episodi che mi coinvolsero. Ecco il primo: Ci troviamo in via Sannio ove si svolge una sfilata di fronte al comandante. Ripeto che sono sui sei-sette anni con la maturità da trogloditi rispetto i ragazzini odierni che ne sanno una più del diavolo. Così, mentre marciamo inquadrati battendo il passo, transitano sul marciapiedi accanto due o tre ragazzine. Non sia mai successo! dai balilla più grandi parte un boato ripetuto di “a bbonee!!” al quale si aggiungono titubanti parecchi di noi piccoli. Il mio vicino, un po’ più grandino e scafato di me, con fare navigato dice: “strilla a bbonee!”. Al mio perché, con sguardo di compatimento mi risponde, come fossi un deficiente “perché sò bbone”. Nella mia ingenuità (finirà presto) mi immaginai che l’apprezzamento riguardasse le qualità morali di quelle fanciulle. Poco dopo nella mensa i balilla grandi, imbeccati dal vicino di sfilata, ridacchiano e dicono: “pidocchio sveja, le femmine sò bbone, lo voi capì o no?”. Almeno per quella volta privilegiai ancora l’ipotesi morale, pur se cominciavo a rendermi conto ci fossero cose a me sconosciute. Il secondo è che un giorno ad alcuni di noi infanti un balilla più grande, anzi grandissimo (moschettiere), col fare segreto di un alto iniziato ci descrive, con contorni fantasiosi e spunti da sexy-horror  (perché dubito ne sapesse con esattezza anche lui), quello che i nostri padri dovrebbero aver combinato alle nostre madri per far nascere noi pidocchi. Alla nostra età non credo sia un problema che un bambino se lo ponga, oltretutto, l’ho detto, l’immaturità era abissale. Viste poi le perplessità di tutti noi il moschettiere, felice della sua superiorità, ci ripete ogni cosa aggravandone la descrizione e ci lascia increduli, esterrefatti.
Poi, con fare misterioso, ci anticipa che il nostro birilletto, al momento usato per fare pipì, servirà presto anche per le femmine, e come! (per le femmine? boh! chi ci capisce è bravo) e ci verrà come quello del Duce che, come sanno tutti, ce l’ha gagliardo assieme a due balle così (pollici e indici  aperti in una esagerata ovale). A parte gli incubi nel figurarmi il mio pisellino trasformarsi in qualcosa di misterioso, ho odiato per più tempo mio padre (verissimo) per le presunte violenze su mia madre, escludendo in assoluto che lei possa essere stata acquiescente alle sue turpi voglie! In seguito saprò che questo intervento verso noi, oltretutto ripetuto, faceva parte di un embrione di educazione sessuale che l’Opera Balilla consigliava di avviare usando però discrezione e tatto, qualità ignorate dagli incompetenti istruttori (sistema ottimo per sminuire le donne e formare futuri gay). Ignoro se ciò avvenisse per le Piccole Italiane, Ah Duce! che fatica per te e noi tirarci su come volevi! Eppure questi impatti avviarono una maturazione per il bene di noi e Paese.
Inno dei figli della Lupa ( da anonimo)

Siamo i Figli della Lupa
dell'Italia il primo fiore
e donato abbiamo il cuore
al suo grande Condottier.

      Noi di Roma siam Balilla
e del Duce il primo affetto.
Il Suo nome abbiamo in petto
e l'Italia nei pensier.

Ritornello
|: Suonate campane, suonate festose
a schiere di bimbi che passan gioiose
cantiamo inquadrati da veri soldati
L'Italia e il suo Duce vogliamo servir:|
                                                                       
La divisa che portiamo
sempre avrà la nostra Fede.
e se il Duce ce la diede
le faremo sempre onor.

|: Suonate campane . . .