Sunday, September 30, 2018

Ottobre 01 2018 Lunedì. n° 2714 + 7NS  (nuova serie). Riprende l'edit dopo altra sosta per imprevisti fisici e di blog
Pensiamo positivo, specie questo periodo.

Recordatio
L’Umbria materna
I nonni materni sono umbri, come mia madre, e vivono a Perugia. Sin dalla prima infanzia trascorro ogni anno un mese estivo con loro e alcuni zii in città e in piccoli centri vicini, Passignano, Monte del Lago, Umbertide, Pierantonio, Tuoro, Castel Rigone. Nella loro casa sono adottato sin dall'arrivo da una zia nubile di media età, affetta da elevata sordità contratta con l'epidemia della febbre spagnola, che uccise più persone della guerra mondiale appena finita, e divengo oggetto e vittima delle sue attenzioni. In seguito lei sposerà uno smidollato fascista marcia su Roma che le farà passare un mare di guai (divenne squadrista per coprire le sue carenze e immaturità). I nonni sono affettuosi e disponibili, zii e zie altrettanto. Per tutti mia madre, la maggiore dei figli, è il riferimento per i loro problemi. Di cugini e cugine ne ho diversi e alcuni sono circa della mia età, così possiamo capirci e avere interessi comuni. Passo buona parte delle giornate a giocare sotto la casa nel vicolo dei Pellari o nella via del Bulagaio, vicino la Piazza Grimana ove si trova l’Arco Etrusco e il palazzo Gallenga, sede sin d’allora dell’Università per gli stranieri. Vado sovente a trovare mio nonno in un suo negozietto di friggitoria; stupendo! Ottengo, assieme ai cugini, cartoccini di delicatezze fritte! (sarà per questa generosità con noi e le donnette del quartiere che sia andato presto in dissesto). Mi sposto pure nei dintorni per esplorare il mondo che mi circonda anzi, una volta, mi perdo veramente e i miei, grazie all'aiuto delle guardie e dei militi allertati dagli zii, cosa per allora eccezionale, mi ritroveranno nel piazzale del convento di San Francesco, alquanto distante, con le mie inconfondibili coulottine e per nulla preoccupato. Su loro incombeva l’angoscia e la psicosi per i bambini rapiti dagli zingari e per la sparizione recente del figlio del pilota USA Lindberg, quello del volo atlantico con l’aereo Spirito di Saint-Louis, che aveva fatto scalpore. Per fortuna il traffico è minimo senza timori eccessivi per i bambini incoscienti come me.

Probabiliter 
Il Semaforo rosso, caso con mia madre
Quanto ad eventi non paranormali, quanto di assistenza speciale, quanto di cosa comunque strana, riporto un fatto della fine anni trenta, riguardante me, testimone diretto, e mia madre. Ho dieci-undici anni. Muore d’improvviso la zia ostetrica, quella dell’occhio offeso, sorella di mia madre, con cui aveva un rapporto molto sentito e particolare, la quale viveva a Passignano sul Trasimeno (Perugia). Mia madre deciderà di recarsi immediatamente in Umbria, accompagnata da me, preavvertendo i suoi parenti dell’arrivo.. Il treno è quello dei vecchi tempi, vaporiera, lungo, lento, vagoni di terza classe, qualcuno di seconda e prima. Dobbiamo cambiare a Terontola per la coincidenza con il locale per Passignano. Mio padre consulta gli orari e ci dice e scrive che alle ore XX, alla terza fermata da Roma, avremo raggiunto Terontola e dovremo scendere per il cambio. Partiamo, è sera, fuori del treno è tutto buio. Siamo all’ora XX, terza fermata, scendiamo, siamo sul fondo del convoglio. C’è una luce un po’ lontana sui binari, è la stazione. In mancanza di marciapiedi ci incamminiamo quasi al buio seguendo i binari che s’intravedono appena. Io porto la valigia, la mamma prega le anime del purgatorio e della sorella defunta che ci aiutino. Giungiamo in prossimità della locomotiva quando il fuochista ci vede, spara due - tre terribili bestemmie come gli umbri e non solo sanno fare, e ci urla concitato che c..zo stiamo facendo. Rispondo che stiamo andando verso la stazione e lui, con un’altra bestemmia irriferibile, ci impone di afferrargli la mano, prima mia mamma, poi me, e ci issa nella cabina aperta della vaporiera. Dopo un minuto, forse meno, sul binario ove eravamo passa rombante un direttissimo per qualche località del nord. Un segnale rosso aveva fermato il treno alle porte di Terontola, che raggiungeremo poi in poche decine di secondi, scendendo dalla cabina che ci aveva accolto. La mamma bacia il conduttore e gli dice di non bestemmiare più, che lei gli aveva detto qualche giaculatoria riparatrice. Per poco quel signore imbrattato di polvere di carbone non sparerà qualche altro sfondone, con il volto, però, soddisfatto di chi si sentiva fiero d’averci salvato. Fortuna? fato? caso? sedere? fuochista? E se qualcuno o qualcosa,ci avesse dato una mano? Mia mamma in ciò non ebbe mai dubbi.

Consideratio
Le "cose positive del Duce" - 4 parti - Premessa
Come ho trattato senza condizionamenti degli errori e carenze del Duce e del Regime Fascista, inequivocabilmente negative e distruttive, da non ripetere o emulare, ritengo doveroso parlare anche di quanto realizzato di positivo nel suo periodo ventennale, lungo e brevissimo al tempo stesso che, a mio giudizio, ha costituito un esempio originale e irripetibile di ciò che è possibile svolgere solo che la decisione, la volontà, la determinazione, lo vogliano. Prima di affrontare il tema delle “cose benfatte” esaminiamone uno altrettanto impegnativo, cioè quello se il Duce possa essere considerato o meno un “vero” dittatore. In merito all’argomento ho ritenuto di esprimere non solo conoscenze e notizie di ordine generale, trattate dagli storici e dagli studiosi di politica, ma anche considerazioni personali, per quanto io possa ancora collegare i ricordi alla vita e al tempo di allora, conservati in quel Google che si chiama mente umana, ove esistono sinapsi e non carta stampata, più o meno veritiera e faziosa. Anzitutto è da considerare che fino al 1938 in Italia esisteva una larvata forma di parlamentarismo elettorale, con mille difetti e forzature (lista e partito unici, blocco nazionale, propaganda di regime e altro) ma, in concreto, non può dirsi mancasse del tutto un parlamentarismo rappresentativo. All’aspetto “totalitario”, più che dittatoriale, ci si può riferire solo per il periodo 1939-1943 quando, in base alle nuove leggi sulla rappresentanza politica, venne istituita la Camera dei Fasci e delle Corporazioni (Parlamento) i cui Consiglieri Nazionali (Deputati) provenivano dall'alta dirigenza degli organi dello Stato, parastato, partito, sindacali, chiesa, e restavano tali finché coprissero le loro funzioni. E' noto che questa legislatura, al primo rodaggio, funzionò per quattro anni, sarà la caduta del fascismo a interromperla. Riconosco che si trattava di una istituzione addomesticata, con i componenti nominati in virtù delle cariche ricoperte, restava però la possibilità, pur teorica, che la Camera, o parte di essa, avrebbe potuto non avallare l’operato del governo e del Duce. Oltre la Camera esisteva però il Senato, e la sua presenza e composizione non può essere sottovalutata. Si trattava di un organo legislativo il quale, con lo statuto aalbertino in vigore e i senatori con carica “a vita”, su nomina reale o con proposta governativa, poteva ritenersi il custode di una buona autonomia di azione, non essendo i senatori soggetti al pericolo di essere dimissionati d’autorità. Il Senato costituì una vera Camera Alta e spesso, dittatura o non dittatura, il Duce e il fascismo dovettero tener conto dei suoi indirizzi.Va poi considerato che l'Italia era una Monarchia, con il Re Vittorio Emanuele III, di casa Savoia, il quale stimava si il Duce, ma non può dirsi fosse fascista. Inoltre il Re aveva massicci referenti sia nell'ambito del Senato, sia nella Camera e nel Partito stesso, ove metà dei quadriumviri, e forse più, altrettanto nel Gran Consiglio e dirigenza interna, erano uomini di sua fiducia, palesi o occulti. Quindi fra il regime semielettorale sino al 1938, la nuova Camera Corporativa, la presenza del Senato e dei senatori a vita rispondenti al Re, la Monarchia con la sua indipendenza e importanza, oltre il Gran Consiglio del fascismo, organo costituzionale preteso dal Re e osteggiato dal Duce, il quale poteva sfiduciare il suo capo (e lo fece), il Duce, a mio giudizio, può definirsi un dittatore anomalo, tale per l'acquiescenza di chi potera fermarlo in qualsiasi momento, non certo paragonabile a personakità Hitler, Stalin, Mao, Poll Pot, altri, che dovevano vedersela con ben pochi controlli, se non  nessuno. 



Friday, September 7, 2018

Settembre 07- 2018 Venerdì- n - 2714 più 6 nuova serie - pensiamo positivo
Recordatio 
Sto crescendo
Anche di mio fratello, cinque anni di più, ho scarsi ricordi. Lo sento poco amico come si può desiderare all'età di due - tre anni; all'epoca sono troppo piccolo per lui e lui troppo grande per me. Lo rammento comunque col grembiule blu e il fiocco della scuola, con i calzoncini neri, il vestito e il berretto da marinaio, in divisa da balilla, nonché impegnato in baruffe fra bambini per difendere me e in qualche scontro fra noi due ove, per ovvii motivi di età, sono destinato ad avere la peggio. Comunque è il mio protettore dalle angherie dei più grandicelli ed io, purtroppo, non gli porto riconoscenza poiché quello che fa rientra per me nei compiti istituzionali del fratello grande, similmente a quelli dei genitori e adulti della famiglia.Devo aggiungere che nella casa, oltre i nonni, vivono due - tre zie e, a volte, uno zio.Ove dormano non so e di loro mi sovviene poco, salvo l'affetto dimostratomi dalla zia maggiore e l’indifferenza delle altre due.
Mio nonno è anziano, senza pensione come quasi tutti i vecchi ultrasessantenni di allora, scontroso ma simpatico. Parla di rado, rientra la sera, sovente alticcio, dopo aver mangiato qualcosa in una vicina osteria che considera il suo rifugio. Lo valutano poco, guadagna qualcosa gestendo nel quartiere un banchetto per la vendita di dolcetti per bambini (è la figura del "nonnetto", oggi scomparsa). Io ne approfitto per farmi regalare cioccolatini marca Duomo avvolti in carta rossa, bruscolini e altre leccornie. In precedenza egli conduceva una delle postazioni per piccoli servizi ai viaggiatori, allora numerose alla Stazione Termini. a nonna, massiccia, bassa ma non grassa, decisa e di modi spicci, è una burbera-buona che considera mio padre, non mio nonno, il capo della famiglia. Eppure il nonno ha i suoi lati positivi, sia pur poco palesi. Lo capirò in seguito rammentando:
- i discorsi sui suoi papà e nonno, miei bis e tris avi, che in Anagni avevano un po’ di pecore, capre, terra e un molino a pietra, cose chesignificavano un certo benessere;
- il rammarico dell’essersi fatto attrarre dall’urbanizzazione della Roma sabauda;
- la fissazione che la sua stirpe, cioè lui, i suoi, romana d’origine, fosse qualcosa di sostanzialmente importante e indefinibilmente nobile; guai a contestarlo in ciò. Egli, infatti, sulla fine del 1800, fece redigere due alberi genealogici dettagliati della famiglia sua e di mia nonna, che gli costarono varie decine di lire d’allora, un capitale, incaricando a ciò uno dei notai anagnini autorizzati a consultare i registri vescovili e civili, rimasti integri per nove – dieci secoli, visto che Anagni fu coinvolta blandamente nelle invasioni barbariche.
Del suo albero ricordo la presenza di nobilastri nell’entourage del Papa, la loro provenienza da Roma, il trasferimento in Anagni con Bonifacio VIII e poi, per altri, anche ad Avignone, sempre al seguito del Papa. Grazie a questa provenienza romana di secoli prima guai a dirgli di essere un ciociaro frusinate! Non svalutava Anagni ma si considerava più romano di tutti. Quello di mia nonna lo rammento meno pur se il suo cognome, simile a un piccolo centro dell’Emilia Romagna, mi ha fatto pensare, forse errando, a qualche antenato ebraico ivi trasferito dal Papa, magari convertito. Purtroppo questi due poster si sono dispersi col bombardamento del luglio 1943 e a nulla sono valse le ricerche per rintracciarli.Forse si sono smarriti con l’andirivieni dei vigili del fuoco, UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), militari, negli appartamenti svuotiati nell’ala pericolante e pericolosa del palazzo, adiacente quella colpita e distrutta.

PROBABILITER 
Salvataggio
Primo dopoguerra, incontro un superiore dell’altra metà del mio mondo, quello dei preti. Palazzo importante. …“Stasera parteciperà a una riunione, andremo per le lunghe”… (il Voi non c’è più, si è tornati al Lei). Così ci troveremo nella sala convegni di una Sede romana. Oltre il nostro gruppo c’è il Capo, un Monsignore che conta, due che non conosco, un sacerdote USA. Io sono il più giovane, non che gli altri siano poi anziani, pur se un paio sono di media età.Il Capo saluta e per quanto mi riguarda chiede se la mia  passione per il romagnolo (il Duce) è sempre viva, il tutto con una punta “paterna”, senza i probabiliter. Lui era tiepido verso il regime precedente ma contrario al mondo comunista e paracomunista. Precisa: “Ho chiamato anche lei perché serve partecipi a qualcosa che Monsignore spiegherà. Si ricordi che non è obbligato a nulla, salvo il tenersi per se ciò che sentirà. Se ritiene di non partecipare lo dica senza problemi”. Salto i particolari. Il Monsignore spiega che l’ente da lui diretto deve “recuperare” in Slovacchia un prelato di spicco, con due collaboratori, i quali potrebbero trovarsi in difficoltà per accuse di appoggio ai nazisti. Pare si tratti di un collaboratore o simpatizzante di Monsignor Tiso, già capo del governo filotedesco (gli costerà la condanna a morte) ed è stato deciso di sottrarre lui e i collaboratori alle angherie che potrebbero concretarsi a breve, rivolte più che verso loro contro la chiesa e Vaticano. C’è un piano che dovrebbe funzionare. Saranno attivi collaboratori del posto e qualcuno del vecchio e nuovo corso. In Slovacchia e Austria si trovano anche russi, pullulano i Soviet, vi sono repressioni, la chiesa è malvista, si deve essere accorti. Anche l’Italia non scherza, il nord scoppia di partigiani, loro collaboratori, di alleati diffidenti.Precisano che due automezzi, come concordato con gli slovacchi, porteranno a Bratislava aiuti alimentari e, al ritorno in Italia, un carico del loro prodotto nazionale, le patate, oltre i tre da allontanare con un permesso faticosamente ottenuto. Da quello che capisco chi darà una mano in loco saranno degli “ufficiosi”, non le autorità in essere in quanto la situazione è ancora fluida, imprevedibile. Ci prepariamo con quattro autisti, altrettanti di meccanica e fatica, oltre due grandi truck furgonati, mi pare Dodge, contrassegnati coi simboli Vaticani, carichi di sacchetti di farina USA e canadese da 100 libbre ciascuno. Indossiamo sugli indumenti di lavoro un giaccone con strisce bianco   -   gialle che ben indica il mittente del carico.Preparano i documenti, si completano i controlli, diciamo qualcosa alle famiglie e  partiamo.Siamo in viaggio. Non esistono autostrade, le vie sono dissestate e disagevoli, con salite, discese, passi, ostruzioni da rallentare notevolmente la marcia. Evitiamo i centri maggiori per il rischio di qualche assalto al carico e, viaggiando giorno e notte, con soste limitate, nonché riposando nei mezzi che non abbandoneremo mai, giungiamo nel nord   -   est italico, alto Friuli, con slavi che si mostrano ovunque e le terre dal futuro incerto. Poi in Austria, esibendo documenti italiani, vaticani e USA, si unisce a noi un ufficiale che ci accompagnerà alla frontiera slovacca. Superiamo Villach, Klagenfurt, Gratz e entriamo nell’area viennese. Le campagne paiono non aver sofferto troppo dalla guerra, così non è per Vienna e altre città.Vedo per la prima volta alcuni militari russi che non mi fanno effetto particolare, sono ragazzotti rustici, di livello ben diverso dalle popolazioni locali. Le strade austriache, malgrado la guerra, sono migliori delle nostre. Superiamo Vienna, che non attraversiamo, giungiamo a due passi da Bratislava, nei cui paraggi finirà il viaggio. Traversiamo la frontiera slovacca, anzi cecoslovacca in quanto la recente separazione del paese fra Ceki e Slovacchi, auspicata dai locali e promossa dai tedeschi, è di fatto annullata. Pure qui presentiamo pacchi di documenti.Ci attendono due funzionari che danno il cambio all’austriaco. E’ chiaro che anch’essi siano a conoscenza di qualcosa. Così in breve arriviamo in un immensa area con più capannoni pieni di patate sfuse da sfamare mezza Italia, ove scarichiamo più di trecento quintali di farina, forse quattrocento, mentre degli operai stanno insaccando le nostre. patate (pensavo, errando, le avessimo caricate alla rinfusa).  Sia in Austria che in Cecoslovacchia mi accorgo con piacere che il mio inglese scolastico finalmente funziona, assieme al poco tedesco. Infatti i vari interlocutori avevano studiato anch’essi un inglese con una pronuncia da cani cosicché, pessima la loro e la mia, ci capiamo perfettamente e mi convinco sempre più che il linguaggio degli Angli è si universale, purché ci si tenga alla larga da statunitensi e britannici.  In Slovacchia i russi sono più che in Austria ma si tengono da parte, lasciando le incombenze alle autorità civili. Mentre gli autisti si dedicano al controllo dei mezzi ci rechiamo in due con un vetusto taxi, accompagnati da uno dei funzionari, alla palazzina ove alloggia il monsignore con i collaboratori e altri addetti. Il mio compagno consegna dei documenti, tra i quali dei passaporti diplomatici. Poi fa firmare un atto che ufficializza la loro inclusione in una commissione per regolare i rapporti religiosi col nuovo regime, sul quale è stato concesso di scegliere dei nominativi graditi a Roma. Il rischio è che le ultime autorità, appena insediate, finiscano per non riconoscere gli accordi faticosamente raggiunti, arrestino il monsignore, i suoi, e magari noi malgrado i lasciapassare. Dobbiamo far in fretta, così li invitiamo a tenersi pronti per l’indomani. Il mattino viene completato il carico mentre torniamo dal monsignore e troviamo tutti in clergy-man. L’ufficiale appunta sul petto di ognuno una targhetta che attesta la posizione di componenti una delegazione governativa all’estero. Così torniamo ai camion e subito via. Rieccoci alla frontiera austriaca di primo mattino. Gli accompagnatori fanno preparare i documenti e ci vorrebbe un archivista per ordinarli tutti. I due camion coi colori bianco   -   giallo, la bandierina americana e qualcosa di italiano (bella confusione) mettono di buon umore dazieri e gendarmeria, mentre i funzionari ci dicono di mostrare le carte. Qualcosa viene osservato, ritirano i permessi e permettono il passaggio. I funzionari ci lasciano con una punta di dispiacere; ho anche l’impressione si siano dati da fare per facilitarci e abbiano beneficiato di qualche riconoscimento. Siamo presi in consegna da un austriaco e puntiamo a rientrare subito in in Italia, siamo pur sempre in zona ove bazzicano russi, comunisti e disposizioni particolari. Il ritorno è più agevole e ci prefiggiamo di sostare solo in patria. Così tiriamo avanti e sul tardi, ormai nuovo giorno, varchiamo il confine e tiriamo un sospiro di sollievo. Finalmente in terra nostra, beh! Alto Adige! Decidiamo di tornare tutti a Roma coi nostri truck, anche se affollati, cioè noi e i tre neo   -   accolti (oggi non sarebbe possibile, allora era tutto permesso), in quanto le ferrovie sono in larga parte in disuso e l’utilizzo di uno o due auto avrebbe comportato problemi maggiori per il loro reperimento, la viabilità e i controlli. Alcuni riposeranno per qualche ora in un Istituto locale prima e nel bolognese poi, infine tutti a Roma. Un viaggio tutto d’un fiato (per modo di dire, oggi si impiegherebbe un tempo quattro volte inferiore). In casa non avevano notizie da vari giorni, in quanto era impossibile telefonare dall’estero, quasi altrettanto dall’Italia. In più eravamo stati invitati a non dettagliare sul viaggio.I tempi scelti per noi si rilevarono giusti; poco dopo i giornali diranno che in Cecoslovacchia erano stati arrestati vari ecclesiastici per collaborazionismo e chi in missione foranea dovesse rientrare o, se richiesto, estradato. Ovvio che i nostri non torneranno .Ho parlato di questo episodio in quanto indicativo del clima 1945, quando l’URSS stava cercando di affermarsi nell’est e da noi, nonché per far notare che i tedeschi avevano promossa l’autonomia degli Slovacchi (su loro richiesta e per assoluta incompatibilità coi ceki), i quali diedero perfino un buon contributo alla guerra in Russia, se non erro con una divisione di combattenti SS. Essi in larga parte non erano avversi sia a Hitler, sia a Mussolini, come ebbi modo di parlare coi funzionari, preti e altri; per tutti il Duce era quello che, ancor più dei tedeschi, avrebbe potuto sistemare un po’ di cose in quelle terre complicate, come fatto di recente con Romania, Ungheria, Bulgaria. Ma ora tutta la zona correva il rischio di entrare nell’orbita sovietica. Il Monsignore romano, lo slovacco e i suoi aggiunti, nonché il “Capo”, si complimentarono col nostro gruppo e ricevemmo anche una modesta gratifica, oltre un po’ di alimentari. Sapremo di aver recuperato un personaggio importante, ma non ne sono sicuro e non dettaglio. 


Consideratio
Figli della Lupa    e loro inno  -

   E’ il 1933, ho sei anni, prima elementare, per un po’ sarò “Figlio della Lupa” poi passerò Balilla, mentre per divenire “Moschettiere” dovrò attendere le medie. Una precisazione, i Figli della Lupa dei miei tempi non avevano ancora la divisa con le bande bianche incrociate sul petto . Questa nacque con le norme del 1937 che trasformarono l’Opera Balilla in GIL, Gioventù del Littorio, e definirono regolamenti, divise e varianti. Ricordo che alle adunate nella sede di via Sannio ci andavo vestito da balilletto, più o meno come mio fratello grande. Due vecchie foto scattate da mio padre, ove sono in divisa accroccata e impacciato, confermano ciò. Non dico della poca considerazione nella quale venivano tenuti i Figli della Lupa! già i balilla semplici erano definiti dai moschettieri lattanti, mozzarelle e peggio, ma almeno erano considerati. Noi di norma eravamo ignorati o trattati con saccenza. Poi, siccome qualcuno dei Capi con poco spirito ebbe a dire che eravamo i “pulcini dei balilla” fummo chiamati anche “pulci” in senso spregiativo e, ancor peggio, “pidocchi” (aggiungo pisciasotto), per farci pesare che eravamo nullità e tali quei parassiti. Eppure nelle sfilate collettive, nelle graduatorie per le Leve, negli incontri col Duce e altri, eravamo sempre noi ad aprire la serie dei balilla, avanguardisti e altri. Da ciò ne veniva che non vedevamo l’ora di crescere. Rammento due episodi che mi coinvolsero. Ecco il primo: Ci troviamo in via Sannio ove si svolge una sfilata di fronte al comandante. Ripeto che sono sui sei-sette anni con la maturità da trogloditi rispetto i ragazzini odierni che ne sanno una più del diavolo. Così, mentre marciamo inquadrati battendo il passo, transitano sul marciapiedi accanto due o tre ragazzine. Non sia mai successo! dai balilla più grandi parte un boato ripetuto di “a bbonee!!” al quale si aggiungono titubanti parecchi di noi piccoli. Il mio vicino, un po’ più grandino e scafato di me, con fare navigato dice: “strilla a bbonee!”. Al mio perché, con sguardo di compatimento mi risponde, come fossi un deficiente “perché sò bbone”. Nella mia ingenuità (finirà presto) mi immaginai che l’apprezzamento riguardasse le qualità morali di quelle fanciulle. Poco dopo nella mensa i balilla grandi, imbeccati dal vicino di sfilata, ridacchiano e dicono: “pidocchio sveja, le femmine sò bbone, lo voi capì o no?”. Almeno per quella volta privilegiai ancora l’ipotesi morale, pur se cominciavo a rendermi conto ci fossero cose a me sconosciute. Il secondo è che un giorno ad alcuni di noi infanti un balilla più grande, anzi grandissimo (moschettiere), col fare segreto di un alto iniziato ci descrive, con contorni fantasiosi e spunti da sexy-horror  (perché dubito ne sapesse con esattezza anche lui), quello che i nostri padri dovrebbero aver combinato alle nostre madri per far nascere noi pidocchi. Alla nostra età non credo sia un problema che un bambino se lo ponga, oltretutto, l’ho detto, l’immaturità era abissale. Viste poi le perplessità di tutti noi il moschettiere, felice della sua superiorità, ci ripete ogni cosa aggravandone la descrizione e ci lascia increduli, esterrefatti.
Poi, con fare misterioso, ci anticipa che il nostro birilletto, al momento usato per fare pipì, servirà presto anche per le femmine, e come! (per le femmine? boh! chi ci capisce è bravo) e ci verrà come quello del Duce che, come sanno tutti, ce l’ha gagliardo assieme a due balle così (pollici e indici  aperti in una esagerata ovale). A parte gli incubi nel figurarmi il mio pisellino trasformarsi in qualcosa di misterioso, ho odiato per più tempo mio padre (verissimo) per le presunte violenze su mia madre, escludendo in assoluto che lei possa essere stata acquiescente alle sue turpi voglie! In seguito saprò che questo intervento verso noi, oltretutto ripetuto, faceva parte di un embrione di educazione sessuale che l’Opera Balilla consigliava di avviare usando però discrezione e tatto, qualità ignorate dagli incompetenti istruttori (sistema ottimo per sminuire le donne e formare futuri gay). Ignoro se ciò avvenisse per le Piccole Italiane, Ah Duce! che fatica per te e noi tirarci su come volevi! Eppure questi impatti avviarono una maturazione per il bene di noi e Paese.
Inno dei figli della Lupa ( da anonimo)

Siamo i Figli della Lupa
dell'Italia il primo fiore
e donato abbiamo il cuore
al suo grande Condottier.

      Noi di Roma siam Balilla
e del Duce il primo affetto.
Il Suo nome abbiamo in petto
e l'Italia nei pensier.

Ritornello
|: Suonate campane, suonate festose
a schiere di bimbi che passan gioiose
cantiamo inquadrati da veri soldati
L'Italia e il suo Duce vogliamo servir:|
                                                                       
La divisa che portiamo
sempre avrà la nostra Fede.
e se il Duce ce la diede
le faremo sempre onor.

|: Suonate campane . . .

Wednesday, September 5, 2018

Settembre 05 - 2018 - Mercoledì - n - 2714 più 4 nuova serie - pensiamo positivo

Recordatio
Roma anno zero
........    Le finestre di casa sono molto in alto, irraggiungibili per me con qualsiasi sedia, figuriamoci col seggiolino che mio padre mi ha acquistato o costruito. Esse sono precedute da un gradino che utilizzo come sedile e tavolo per le mie molte occupazioni. Per quanto concerne i pasti ho a disposizione un seggiolone, tazze per il latte e minestrina, tovaglioli che dal collo scendono sulla pancia (bavaioli), qualche posata di piccole dimensioni. Vestitini particolari non li rammento, ne avrò avuti. Ho presenti invece i grembiulini e le culottes. Noi quattro, i genitori, mio fratello ed io, occupiamo una stanza di quella piccola casa composta di un'altra stanza più grande, di una cucina utilizzata anche come ingresso-tinello, e un ”cesso”. Siamo al secondo piano di un palazzo popolare con pianerottoli e scale strette, poco illuminate. Ho terrore del buio e le persone che incontro sono di scarsi complimenti, anche sgarbate. A volte mi aiuta a salire o scendere gli scalini, una signorina che abita accanto (Santina), e sono accettato, forse tollerato, nella casa di un anziano ciabattino, il Sor Pietro, al piano sottostante, ove lavora su un misero deschetto, che tutti chiamano “pecione" considerati i miracoli fatti per ridar vita a calzature più che usurate. Da una matura signora, amica di mia madre (Concetta), ricevo a volte qualche mandorla, o noce, o una caramella alla menta. I tempi delle gentilezze per noi bambini sono lontani. Il gabinetto, allora chiamato "cesso", è posto all'interno della nostra camera. Non posso chiamarlo bagno giacché vasca e bidet non ci sono, esistono solo un water e un minuscolo lavandino con un rubinetto da cui esce un filo d'acqua. E' un locale stretto e piccolo, illuminato fiocamente da una finestrina in alto senza vetri e di sera da una lampada rossastra. Data l'età, soddisfo le occorrenze in un vasetto arrangiandomi da solo o con l'aiuto della mamma; il tutto è così funzionale che non concepisca altro modo per fare pipì o popò, perché non lo usano tutti? Il nostro WC, uffa quanto ne parlo! anche se all'interno della stanza, costituisce pur sempre un miglioramento rispetto molte case del quartiere, che l’hanno in ballatoi esterni e in comune fra più famiglie. Considerato poi il numero dei presenti in casa e le loro esigenze ci sarà pur stato un bell’andirivieni, senza però me ne sia mai accorto. Per me è un locale misterioso di cui ho avuto sempre timore e dal quale mi tenevo lontano. E come dimenticare la volta che l'ho aperto trovandomi di fronte l’abbondante sedere della nonna? Per quanto abbia tentato di ricordare non mi sovviene ove dormissi; del trovarmi in letto con mia madre lo rammento, dell'utilizzo di altro lettino o culla la memoria non mi assiste, forse non li avrò avuti. Altre cose che rivedo in casa sono luci debolissime, una pignatta di miele che mi somministrano nelle colazioni e merende, posta su uno scaffale al di fuori delle mie incursioni, oltre cestini di fichi freschi provenienti dall'orto di mio padre, sistemati sotto il tavolo della cucina, che sono la disperazione delle mie manine appiccicose e la lingua rasposa per quelli mangiati con la buccia. Finora ho parlato di cose e fatti. Le persone la cui traccia è più viva le ho riservate per ultime onde potermi esprimere meglio. La presenza completa e appagante è per me quella di mia madre. Lei è me ed io sono lei, e per questo che non ne rammenterò in seguito, e con dispiacere, i lineamenti giovanili. La sento come persona talmente logica da memorizzarne solo le fattezze più recenti, quelle da anziana (ciò avviene in noi tutti, che perdiamo il ricordo dell’aspetto da bambini). A volte, osservando ritratti e foto, tento di immaginarla giovane e piena di vita, inutile! Tale aspetto mi sfugge e ho presente solo l’immagine debilitata dell'ultimo periodo avanzato negli anni. Di lei conservo ancor oggi la sensazione di un aroma particolare, non un profumo, impensabile per le famiglie operaie di allora, bensì un misto di pulito, bucato, fresco, e della sua persona, discreto e inconfondibile. Da mia madre ho acquisito una comunanza di animo e sicurezza che non mi ha più lasciato. Ho avuto con lei un rapporto di perenne affetto e, ciò che più conta, non ne ho un solo ricordo spiacevole. Gli sono grato per l'amore e la comprensione elargitemi, le preghiere insegnatemi, la disponibilità ad ascoltare i miei problemini, i suoi rari rimproveri, qualche sculaccione ricevuto e meritato. In questi primi anni, pur se non è bello ammetterlo, odio il sapone da bucato che si usa in casa anche per me (non l'acqua e il lavarmi). Quanto è repellente il sapone giallo o verde della mia infanzia, carico di sostanze caustiche e di odore nauseante col quale, oltre i panni, si lavano tutti, bambini compresi. A nulla vale l'invito che io stringa le palpebre, quando è usato su di me, penetra implacabile all’interno e attacca i miei occhi. E com’è viscido sulla pelle e penetrante il suo odore! Niente a vedere con quelli da toilette che useremo anni dopo. Quando poi ritengono sia sudicio più del solito, cosa frequente, mi puliscono sia col sapone, sia stropicciandomi con soda o pomice, usate allora in casa. Mio padre lo rammento meno, non sono nell'età in cui possa apprezzarne la persona e la presenza. Per me è un riferimento più da temere che amare. E' di scarsi complimenti, alquanto burbero, di mani facili. Di lui ho vaghi ricordi di fatica e lavoro. Saprò poi che è meccanico in una società ferroviaria e ha fatto degli studi tecnici. Lo vedo in casa di sera, a volte sobbarcato da canestri di verdura e frutta raccolte in un piccolo orto, distante un paio di chilometri, che egli e mia nonna coltivano assieme a orticultori circostanti. Solo in seguito compresi, in parte, il suo impegno affinché, nei limiti del possibile, non ci mancasse il necessario. A proposito del suo orto lo vedo scavare per giorni un pozzo profondo due - tre metri con piccone e badile, immerso nell'acqua fino all’inguine. A seguito di quel lavoro massacrante (e altri simili) subirà poi vari e perenni malanni. Sull'area dell'orto e di quelli circostanti, sita lateralmente al cimitero del Verano, passa oggi la Via Tiburtina raddoppiata, nonché sorgono edifici universitari e commerciali. Tutto è stato inglobato dalla città moderna. 

Probabiliter 
Lo squillo delle venti
(Fatti di cui ora si può dire. I miei capi Top sono nell'al di la)
Già, che è mai un telefono che squilla, specie oggi che essi, fissi, cellulari e cento altre diavolerie li hanno pure i gatti? Eppure un tempo il telefono fisso (dei cellulari nemmeno l’idea) non si trovava in tutte le case, anzi erano più quelle sprovviste. Nei miei anni di entusiasmo, magari poco razionale e responsabile, prima e dopo sposato, ho già detto che feci parte di un team coperto tendente al nero, sia di ex fascio sia di tonache (non sottovalutarle mai).Bene, ci furono parecchie missioni ove fui – fummo impiegati d’inizio come mano d’opera, magari qualificata, con altri gradi che decidevano e disponevano  interventi non sempre soft.  Il mio Superiore d’inizio, un intermediario in gamba, gestiva eccellentemente noi giovani di buona volontà, pregni di fede, passione e condivisione per il fare spicciativo, oltre di ex neri, di qualche ecclesiastico con le palle. Il mio lavoro era in una grossa industria alimentare di proprietà vaticana, non sorgevano quindi difficoltà per assentarsi in caso di impiego concordato, o richiesto da canali diversi, viste le commistioni plurime di interessi e persone.  Bene, per incarichi di più giorni non c’era problema, il nostro gruppetto, pochi e buoni, veniva preparato con calma, mentre per genitori e famiglie, secondo le età, o mogli agitate per i pochi sposati, le motivazioni erano di svolgere missioni organizzativo   -   commerciali, pur se esse ben capivano che nel tutto covava qualcosa di affatto chiaro. Tutto iniziò nel 1945  -  46 con uno sviluppo continuo, specie nei 60–70. In questo periodo si moltiplicarono incarichi che duravano spesso un solo giorno, un mordi e fuggi che non si doveva notare. Di norma, non sempre, era per presenza a cortei, manifestazioni, cerimonie, come supporter, controllo, contrasto, servizi ordine. Così ecco che alle venti, minuto più, minuto meno, squillava il telefono e giungeva la disposizione di essere pronti per un treno attorno la mezzanotte, terza classe, anonimato massimo, ciò con la consapevolezza che, salvo imprevisti, l’incarico si sarebbe stato ritorno in giornata o mattino successivo. A volte, che per imprevisti vari i giorni divenivano di più, niente albergo né ristoranti, solo soluzioni amiche o razioni tipo parà. Di alcuni interventi ne ho detto negli inserti del forum e in Ragazzi di Portoria. Ricordo che all’arrivo dello squillo delle venti mia moglie cambiava colore e io a inventarmi cose ormai vetuste circa una necessità societaria imprevista, con impatti che si sommarono a iosa e lei che più volte mi disse sarebbe stato meglio avessi sposato il Duce o il Papa, pur restando sempre la colonna di casa. Ritengo però si rendesse conto di avere un compagno di vita attivo per lui, gli altri e lei stessa, non come i tanti sprofondati dinanzi le TV che iniziavano a mostrarsi nelle case, o a pensare come unico scopo di vita ai soliti quattro P, Pallone, Pancia, Pensione, Pisella (scusate). Solo a conclusione c’è chi ci pone una quinta P, Pax eterna. Mi minacciò più volte di fare le valigie e andarsene (non le fece), affrontare il mio direttore, notoriamente dei nostri, e anche il Top esterno, lo chiamo Ceccarini, nome molto vicino all’effettivo, i cui interventi erano i più tosti per tutti. Col tempo le mansioni variarono e la mano d’opera, come l’ho definita, si trasferì ai più giovani mentre noi senior acquisimmo posizioni di maggior rilievo (raggiunsi le due e le tre stelle).
Infine i capi massimi, uno alla volta, se ne andarono, ci fu l’ondata brigatista, uccisero il presidente Moro e con questo evento eccomi in congedo, riposo, sonno, pur sempre guardingo per lo squillo delle venti. All’atto di scioglierci, almeno per il mio minigruppo (ignoro altri) ciascuno assunse l’impegno di ricordare in qualche forma e modo i nostri anni, uomini, le vicissitudini trascorse. Io scelsi d’inizio una linea d’incontri e un edit ruspante poi, con l’avvento informatico, di usare tale mezzo per cercare di far permanere tracce altrimenti ignorate (lo ripeto, con un paio di milioni e più di entrate nei miei blog e forum). Come linea fai da te  editoriale ho scritto e stampato più libri di cui almeno cinquecento sono stati distribuiti gratuitamente a parenti, amici, amici degli amici, conoscenti, vari. La fedeltà a una idea, a un principio, un uomo, si dimostra anche così e nel mio piccolo penso di aver mantenuto l’impegno assunto, così per gli amici nei canali di supporto da essi scelti. E’ passata una vita ma se dovessero telefonarmi alle venti, poco più, poco meno, riecco in me l’allarme e la traccia dell’allerta di cinquanta anni or sono.

Consideratio 
                      Non nattendersi appoggi di sorta
Ormai i 90 di mia moglie sono passati e la casa si è vuotata di parenti, amici, affini e, non bastassero, delle due candide cagnoline maltesi di mia figlia maggiore. E nel pour - parler delle tematiche affrontate ecco pure la cancellazione integrale del mio blog da parte di qualcuno privato o istituzionale per la qualemi ero illuso di ottenere un minimo di solidarietà dalle più che soddisfatte persone in qualche mido a me collegate. Te la sei cercata! Meno male che non t'abbiano arrestato! Che ti ha fatto mai questo Duce! Hai rotto per anni le balle a troppi, a tanti! Poi parlare di Hitler e nazi! Degli ebrei! Degli ariani! Esprimere dubbi su partigiani e resistenza! Interessarti a vangeli apocrifi e scritti di Lucifero|! Ben fatto come è stato, te lo sei meritato! per chiudere l'ingrato dire avrei dovuto fare ammenda e chiedere scusa e perdono a tutti e in tutto! Giammai e poi giammai! Haì la venalità che ti ha sempre pervaso o popolo italiano nella tua ondivaga considerazione di uomini e di tempi!!
Settembre 06 - 2018 - Giovedì - n° 2714 più 5 nuova serie - pensiamo positivo.
Recordatio
Roma, i miei primordi  
Anche di mio fratello, cinque anni di più, ho scarsi ricordi. Lo sento poco amico come si può desiderare all'età di due - tre anni; all'epoca sono troppo piccolo per lui e lui troppo grande per me. Lo rammento comunque col grembiule blu e il fiocco della scuola, con i calzoncini neri, il vestito e il berretto da marinaio, in divisa da balilla, nonché impegnato in baruffe fra bambini per difendere me e in qualche scontro fra noi due ove, per ovvii motivi di età, sono destinato ad avere la peggio. Comunque è il mio protettore dalle angherie dei più grandicelli ed io, purtroppo, non gli porto riconoscenza poiché quello che fa rientra per me nei compiti istituzionali del fratello grande, similmente a quelli dei genitori e adulti della famiglia. Devo aggiungere che nella casa, oltre i nonni, vivono due - tre zie e, a volte, uno zio. Dove dormano non so e di loro mi sovviene poco, salvo l'affetto dimostratomi dalla zia maggiore e l’indifferenza delle altre due. Mio nonno è anziano, senza pensione come quasi tutti i vecchi ultrasessantenni di allora, scontroso ma simpatico. Parla di rado, rientra la sera, sovente alticcio, dopo aver mangiato qualcosa in una vicina osteria che considera il suo rifugio. Lo valutano poco, guadagna qualcosa gestendo nel quartiere un banchetto per la vendita di dolcetti per bambini (è la figura del "nonnetto", oggi scomparsa). Io ne approfitto per farmi regalare cioccolatini marca Duomo avvolti in carta rossa, bruscolini e altre leccornie. In precedenza egli conduceva una delle postazioni per piccoli servizi ai viaggiatori, allora numerose alla Stazione Termini. La nonna, massiccia, bassa ma non grassa, decisa e di modi spicci, è una burbera-buona che considera mio padre, non mio nonno, il capo della famiglia. Eppure il nonno ha i suoi lati positivi, sia pur poco palesi. Lo capirò in seguito rammentando:
- i discorsi sui suoi papà e nonno, cioè dcdei miei miei bis e tris avi, che in Anagni avevano un po’ di pecore, capre, terra e gestivano un piccolo molino a pietra, cose che nella metà del  1800 stavano a significare un certo benessere; - il rammarico dell’essersi fatto attrarre, come tanti altri, dall’urbanizzazione della grande Roma quirinalizia, monarchica e post-unitaria;
- la fissazione che la sua stirpe, cioè lui, i suoi, romana d’origine, fosse qualcosa di sostanzialmente importante e indefinibilmente nobile; guai a contestarlo in ciò. Egli, infatti, sulla fine del 1800, fece redigere due alberi genealogici dettagliati della famiglia sua e di mia nonna, che gli costarono varie decine di lire d’allora, un capitale, incaricando a ciò uno dei notai anagnini autorizzati a consultare i registri vescovili e civili, rimasti integri per nove – dieci secoli, visto che Anagni fu coinvolta blandamente nelle invasioni barbariche.Del suo albero ricordo la presenza di nobilastri nell’entourage del Papa, la loro provenienza da Roma, il trasferimento in Anagni con Bonifacio VIII e poi, per altri, anche ad Avignone, sempre al seguito del Papa. Grazie a questa provenienza romana di secoli prima guai a dirgli di essere un ciociaro frusinate! Non svalutava Anagni ma si considerava più romano degli ebrei. Quello di mia nonna lo rammento meno pur se il suo cognome, simile a un piccolo centro dell’Emilia Romagna, mi ha fatto pensare, forse errando, a qualche antenato ebraico ivi trasferito dal Papa, magari convertito. Purtroppo questi due poster si sono dispersi col bombardamento del luglio 1943 e a nulla sono valse le ricerche per rintracciarli. Forse si sono smarriti con l’andirivieni dei vigili del fuoco, UNPA (Unione Nazionale Proteziome antiaerea) militari, negli appartamenti vuoti nell’ala pericolante del palazzo, adiacente quella colpita e distrutta sia come materiale edilizio, sia come la biblica erodiaca  strage degli innocenti

Probabiliter et Consideratio

Chiusura “Ragazzi di Portoria”

Il libro è terminato e ciò m’impone una riflessione. Dal punto di vista personale, non pubblico (ma c’era differenza allora?) E’ stato giusto il mio entusiasmo per il Duce, il fascismo, la sua dottrina, idee, alleanze, opere, oltre i tanti errori? Non è facile rispondere. Il giudizio ritengo debba riferirsi a tre periodi. Il primo concerne la mia infanzia e giovinezza sino al 1940, collegato ai balilla, Patria, Italia, che allora costituivano cosa unica. Potrei aggiungervi figure a Lui suppletive, Ciano che ne sposò la figlia, il Fuhrer tedesco, un re piccolo la cui funzione non mi spiegavo, e il Papa che pensavo fosse il Duce dei preti. Furono anni di certezze, studi severi, famiglie numerose, indigenza, oggi sarebbe povertà. Arrivarono nel trentotto le leggi antiebraiche, capite poco dal popolino e da me infante, scopiazzate da quelle dei tedeschi che in merito si comportarono con estrema infamia, comunque con problemi diversi visto che per quanto ci riguarda, di ebrei, italiani ne avevamo in tutto cinquanta  -  sessantamila e non milioni come loro e paesi viciniori. Il secondo periodo lo coincido con l’inizio della guerra per la quale trovai irrazionalmente una miriade di plausibili motivazioni. Tutto finì come finì e fummo coinvolti in una realtà tragica.,Via il Duce, via il Fascismo, via la G.I.L., via la guerra, via l’alleanza con la Germania, via il re da Roma, risorge un Mussolini non più fondatore dell’impero con uno stato repubblicano anomalo, rivoluzionario. L’Italia divenne una grande mezzadria, metà monarchica, metà repubblicana; metà coi fascisti, metà coi badogliani, metà pseudo democratica, metà nazifascista; metà al sud, metà al nord, E’ da allora che iniziò lo sfascio che oggi ci preoccupa. Di positivo c’era che una delle due avrebbe finalmente vinta una guerra con una parte o l’altra, come fanno oggi i democristiani nel centro  -  sinistra e centrodestra fregandoli entrambi.,Arrivò poi la divisione fra chi scelse la RSI, chi la resistenza, chi il re, i più niente di niente. Questa fu la realtà affrontata da un giovane che concepiva il mondo o bianco o nero, senza sfumature, e dovendo fare una scelta ritenne di seguire il Duce. Così decisi di far qualcosa per lui, nella convinzione che la guerra fosse persa anche per la Repubblica del Nord. Che poi io sia finito come ausiliario nella Wehrmacht è un caso della vita. Giunse la fine definitiva. Il Duce ammazzato, altrettanto i suoi seguaci e un mare di fascisti e pseudo  -  tali, coi tribunali del popolo senza appelli, gli slavi, con la delinquenza politica, comune. Passo al terzo periodo, un dopoguerra duro e una difficile militanza diversa, rivolta per lo più a bloccare i social  -  comunisti di sempre e aiutare pochi disperati in difficoltà, soprattutto ex Repubblica Sociale. Il resto è vita di ieri, di oggi. Ovvio che nel tempo abbia variato il modo di valutare gli ideali della giovinezza, sia pure non sostanzialmente. Sono cambiati tempi, uomini, mete. Direi che il mondo d’oggi non è più quello d’una volta.  Al quesito che mi sono posto non ho dato però una risposta. Cioè furono il fascismo e l’opera del Duce positivi per il paese? Potrei contestare loro mille cose non perfette, prepotenze, violenze, diritti non riconosciuti, anche se non ignorati del tutto contrariamente a quanto si ritenga. Non escludo però le tante opere, idee, dottrine, leggi ben fatte e applicate che hanno lasciato traccia profonda nel dopoguerra, nei tempi successivi, e ancora oggi. In conclusione il mio giudizio, da quello dogmatico del primo balilla si manterrà per il futuro, malgrado ombre pesanti “alquanto” positivo, criticamente positivo insomma. Sono certo che se il fascismo non fosse caduto le sue carenze sarebbero state corrette e i suoi indirizzi avrebbero potuto continuare a indirizzare la nostra vita nazionale. Concludo dicendo che in me non può essere cancellato l’imprinting che acquisii col Duce e il Fascismo. Il mio inconscio racchiude le esperienze recenti e remote, mie e di altri. Sono sempre pronto sia a riconoscerne errori, sia al confrontarmi sulle positività. Il pensiero del Duce, di Hegel, dello Stato Etico, di Gentile, Croce, non mi hanno lasciato e ringrazio il fato di avermi data l’opportunità di trovarmi nei tempi in cui ho vissuto. Il libro termina anche perché la mia giovinezza anagrafica è trascorsa da un pezzo, non quella interna, mi sembra ieri quando parlo di “allora”, stupendomi che continui ad essere così attuale. Quanto alle opere nate per lasciare una traccia del tempo, più che di me, ho cercato di essere il più obiettivo possibile. L’ho detto più volte, i fatti, persone, eventi da me esposti hanno sempre una base di realtà, più concreta per vicende personali, più sfumata per le altre. Devono essermi tollerate, accettate, le varianti, sintesi, deduzioni ritenute opportune avendo fatto lavorare oltretutto solo memoria e fantasia. Non ho inteso trasmettere un diario consueto, sovente formale e banale, quanto sensazioni ed emozioni su chi incontrai, sul Duce, gli eventi di allora.E’ così che dopo Fiaccole di Gioventù è nato questo testo, Ragazzi di Portoria, impegnato maggiormente sul periodo successivo al crollo italico, almeno per me. Seguirà un terzo che completerà il Trittico della Memoria. Penso di aver mantenuta la promessa fatta a me stesso e ai precedenti amici di parlare a cuore aperto del Duce, anche esprimendo dubbi, oltre che lodi e riconoscimenti. Non nascondo la soddisfazione di avere compiuto un excursus nei miei anni giovanili e successivi che, in verità, non avrei sognato di affrontare se non avessi iniziato a scrivere qualcosa su sollecitazione di un bel po’ di giovani, raggruppando la fatica in Fiaccole di Gioventù ed a seguire gli altri del Trittico. Il loro appoggio e sprone mi hanno spinto a continuare. Complice così un team di ragazzi entusiasti, Gorrini che col suo inserto ha incentivato i successivi, è nata quest’opera dedicata al Duce,, ai suoi uomini, positività e negatività, nonché il prossimo “Diario”, d’impostazione particolare

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Monday, September 3, 2018

Settembre 04 - 2018 - Martedì - n - 2714 più 3 nuova serie - pensiamo positivo

Recordatio  
Vita in diretta 
Excursus di un’infante prima, ragazzo e adulto poi, trattato con libero iter espositivo; più eventi sono stati sviluppati anche nei volumi Fiaccole di Gioventù e Ragazzi di Portoria. Non si consideri ciò una ripetizione, ma un opportuno ampliamento e rivisitazione.

Inizia l’avventura  -  Roma anno zero
Parlo di me in un misto di diario anomalo e autobiografia, spaziando in tempi, persone, fatti, affinché ne ricevano conoscenza figli, parenti, amici, posto che vogliano leggermi, e per me, per ripercorrere un cammino non breve che ho accettato, gradito, affatto tollerato. Per il possibile uso grammaticalmente il presente poiché le vicissitudini trascorse sono per me talmente vive da formare un tutt’uno con l’oggi, fondendosi con la realtà odierna e col futuro che mi attende. Ho ritenuto di non fare nomi, salvo casi indispensabili, o indicarne di comodo, sia per rispettare privacy sia perché non sarebbe di utilità; perché non pensare che questa panoramica sia quella di ognuno di noi? A quanti anni risalgono i primi ricordi? A meno di uno o poco più? Comunque di quel periodo iniziale ho visioni a tutt’oggi simpatiche, pur se labili e sfumate. Nasco a Roma nella casa dei nonni paterni, originari di Anagni, nel basso Lazio, come mio padre portato a Roma infante sul finire del XIX secolo. Essa si trova nel popolare quartiere di San Lorenzo fuori le mura. E' la fine di Aprile del 1927, sono passate da poco le ventuno di un mercoledì di aprile quando mia nonna materna, ostetrica, giunta da Perugia per me, mi aiuta a entrare nella vita. Lascio con contrarietà il rifugio caldo e oscuro del seno di mia madre per affrontare un’esistenza piena d’incognite. Un amico di mio padre è in visita e si attarda, non rendendosi conto sarebbe opportuno se ne andasse; poco dopo, infatti, lui uscito, con i miei strilli di felicità o disperazione, avverto tutti del mio arrivo. E' un periodo interessante, è appena trascorso il Natale di Roma e da pochi giorni si lavora per la bonifica Pontina, è stata emanata la “Carta del Lavoro”, è nata da poco l’Opera Balilla, oltre la squadra di calcio della mia “Roma”. Astrologicamente sono un Toro con ascendente Sagittario, chi se ne intende dice siano segni molto positivi. Vedremo cosa potrò e saprò concludere. E’ certo che avrò i piedi in terra, sarò cocciuto, ambizioso, esigente.Per alcuni l’ascendente dovrebbe essere Scorpione che, assieme al Toro, farebbe di me un duro “doc”, salvo scherzi della natura. Della prima infanzia non rammento eventi specifici, salvo una sensazione tattile, olfattiva e acustica, più che visiva, della pelle, dei capelli, del calore, della voce di mia madre. I primi ricordi che ho sono di un "girello" in vimini con l'aiuto del quale faccio del mio meglio per sgambettare nel poco spazio che offre la casa, il portare alla bocca i piedini (meno di un anno?) e lo scendere o il salire scale con gradini troppo alti, afferrandomi alla ringhiera o poggiando le manine su un muro scrostato dipinto di verde (un anno, poco più?). Ho anche il sentore dell’attaccarmi al seno di mia madre, dell’addormentarmi nel suo grembo quando lei cuce, cullato dal ritmo delle gambe che muovono la pedaliera della Singer, oltre del succhiarmi i pollici delle mani e di qualche bel ruzzolone, per fortuna senza conseguenze. In seguito i ricordi divengono più chiari. Rivedo il cavallino bianco, con la base rossa e le ruotine di latta dorata, che mi tiro dietro con lo spago, il triciclo di ferro di mio fratello che cerco inutilmente di scalare, i due cortili spogli del palazzo ove passo parte della giornata, sorvegliato dai miei o forse da nessuno. Due alberelli spogli sono la base dei giochi di noi bambini e sotto uno di essi mi sbuccio gomiti, sedere e altro, cadendo da un’altalena rudimentale dopo che qualcuno mi spinge con troppo impeto. E’ un cortile poco luminoso e arioso giacché si trova sotto il piano stradale ed è chiuso, oltre dalle ali del nostro e altri palazzi, da due grandi edifici, quelli della fabbrica di birra Paskowski e dell’albergo dell’Esercito della Salvezza per gli sbandati d’allora. Indosso tutine con culottes, grembiulini, scarpine col cinturino e bottone - sì, quelle delle femmine- il classico “ciuccio” ritengo d’averlo usato poco. I gatti mi attirano e appassionano, temo invece i cani (essi diverranno poi i miei migliori amici). Comunque dagli amati felini ricevo i primi graffi mentre nulla ho a soffrire dalla parte canina. Anni dopo subirò un paio di morsi pure dai cani, di certo provocati dal terrore verso di loro inculcatomi dai miei. In questa prima età i capelli mi diventano castani chiari, quasi biondi! Le foto del tempo lo attestano e ciò è strano in quanto, come mostrano le immagini successive, sono tornato poi al mio colore non chiaro, e non sono tempi in cui si schiarisce la capigliatura ai bambini figli di operai. Rivedo in casa il lettone di mia madre il quale, ovviamente, è anche di mio padre; per me è, però, un periodo in cui esiste solo lei, gli altri, padre, fratello, nonni, zii che siano, le considero da tollerare o accettare passivamente. E come descrivere l’angoscia quando, a circa due anni di età, i miei genitori mi lasciano e partono per un lungo viaggio senza di me? Credo Napoli, portandosi mio fratello con loro. Io sono affidato alle cure sbrigative della nonna. Sono affranto! Cosa ho fatto per meritare ciò? Perché non mi hanno voluto con loro? Come faccio senza mia madre? Quale felicità però quando al ritorno ricevo in regalo qualche dolce e un carrettino di legno con un Pulcinella che batte le mani, ove sono fissati due piattini di latta!

Probabiliter
Prove di Messia  Show di Celentano nel festival Sanremo   
Dovrei dirne parecchie, ma resta che lui mi è simpatico. Inorridisco, però, a due cose. La prima per la TV nazionale, per la quale, non so se esatto, dovrebbe aver erogato un compenso assolutamente pazzesco, destinato o no a beneficienza, tutto o in parte. Se penso in Lire d’averne pagate duecentotrentamila di canone TV mi viene l'orticaria.  La seconda che mi ha colpito è la megalomania sconfinata, inarrestabile, apparentemente sincera, che esprime colui definito Sua Immensità. Il quale però mi è simpatico, lo ripeto, come concordo con lui che delle omelie degli officianti nei riti domenicali se ne capisca ben poco. Per il resto dico si, no, ma, però, insomma, calma, ma in sostanza resta la mia accettazione.  Col secondo show si ripete la mia perplessità. Allora fa sul serio nell’impegno messianico. Che Gesù sia in lui, o lo usi per i suoi fini, giacché i preti non li ascolta più nessuno o quasi? Mi preoccupo però che non si renda conto cosa porti ad attaccare vescovi, preti e connessi, chi ci prova, di norma, finisce sempre male, come Giordano Bruno. Scrive un amico del forum:  E’ difficile condividere il senso di questa tua espressione: …"Fino oggi chi ci ha provato è finito male, Giordano Bruno è uno dei tanti” …che, oltre a far trasparire il tuo personale compiacimento, si presenta come una minaccia mafiosa-clericale.  Mi sembra di capire che le tue preferenze s’indirizzano verso istituzioni che poco accettano il dialogo o tanto meno la critica. Quelli che secondo te sono finiti male, (meno male che hai omesso di dire "ben gli sta" ) sono pensatori, filosofi, scienziati, ricercatori che che hanno dato un rilevante contributo al progresso raggiunto.  Celentano, che si ritiene un cristiano praticante, ha fatto una critica all'apparato mediatico dell'episcopato evitando attacchi alla dottrina. Forse c'era anche del risentimento personale ma io preferisco una provocazione anche fuori dalle righe alle replicanti voci del coro. Medita sulle parole del Papa riguardo alla casta dei cardinali che, si percepisce, aspirano più al potere che al servizio della missione pastorale. Poi non tutti sono finiti male, non Lutero e Calvino. Galilei si piegato  all’imposizione salvandosi, ma caro è costato alla curia il. Cardinale Bellarmino. E ricordati che pochi anni fa, con riferimento a Galilei, il Papa è stato contestato dalla maggior parte studentesca della Sapienza. Rispondo: Del nostro dire ho pensato di farne un inserto, così estendiamo il tema ad altri. Il mio pour-parler su Celentano ritenevo si fosse espresso ed esaurito al tempo stesso, ho accertato però, tua risposta a parte, che un’infinità di media, TV in particolare, ci si siano gettati, fra cui Vespa con il Porta e Porta di ieri sera. Io non contesto Celentano, resta però che egli, sfruttando il mezzo pubblico, generalista e per tutti, si è lanciato in un’azione di attacco ai sacerdoti e loro mezzi di contatto, oltre di diffusione e proselitismo di un messaggio messianico che poteva condurre a un incidente diplomatico, e non è detto ciò sia escluso.Allargo il pensiero e vado alla lotta contro la chiesa disposta in URSS da Stalin, conclusa con la distruzione del suo mondo a cui non è stata affatto assente la mano del Primus romano  Penso alle persecuzioni subite nell’altro secolo in Messico, nella Spagna popolare, a quelle cui Hitler non poté dedicarsi solo perché invischiato nelle sue guerre, e tanti altri casi. Salto Albigesi e templari, ambedue da me conosciuti per studi e coinvolgimento, i cui roghi ancora ustionano le nostre pelli. Così anglicani e luterani che ebbero la fortuna di avere favorevoli Re e Principi, altrimenti sarebbe toccato anche a loro, i Bellarmino alla Chiesa non mancavano. A Huss, Zwingly, Calvino, altri, le cose non andarono lisce. Torno all’incidente Celentano voluto, programmato (ah! l’audience) per lanciare una provocazione. E se l’eccelso anziché essere colpito dalla fiamma del Cristo lo fosse stato per l’Allah dell’Islam? Poteva farlo giacché sembra, ma non ne sono certo, che la RAI ignorasse il contenuto di ciò poi esternato. Premesso quindi che Celentano è per me accetto nella sua normalità e anormalità, come persona e pensiero, ritengo abbia ecceduto il suo fare, incompatibile con un servizio di Stato, finanziato oltretutto dagli utenti.  E quando dico  che Giordano Bruno è uno dei tanti finiti male mi ritengo offeso che abbia voluto lanciare un messaggio mafioso clericale io che contro le mafie, pure di colore, ho lottato  una vita. Quanto all’illuminismo richiamato è con pena profonda, come evidenziato fra gli altri dai filosofi Adorno e Horkmayer, che dobbiamo prendere atto del suo fallimento. La dea della Ragione, eretta a Notre Dame in sostituzione dei miti, mitologie, credi,  della società sviluppatasi dall’illuminismo Francese che avviò il suo corso tagliando teste a iosa. Due parole mediatiche a Celentano: Adriano, ti seguo da quando eri ragazzino, io poco più grande; mi sei sempre piaciuto. Non pensavo incorrere in una discussione per via tua, comunque avviata già da quando venne fuori il film in cui tu eri proprio il Gesù moderni finito storto, non poteva essere altro. Accetta un abbraccio mediatico e fai come ti pare, visto che te lo permettono.

Consideratio
Divagazioni a chiudere  -  Chimere di mente
Tutto può accadere nell’intimo, anche che i collaboratori di levante, femminile, e di ponente, maschile, ci siano  o meno poco conta, decidano di condurci in un archivio particolare, quello della nostra esistenza, ove si conservino e susseguano indelebili tutte le vicende vissute in positivo o meno, nessuna di esse esclusa. E notare fra tutti la minorità del bene compiuto rispetto il malfatto e la supremazia su entrambi di quanto si doveva e poteva affrontare. Questa è la vita di ognuno, di sempre, se ne sia coscienti o meno
Tracce di vita

Seggio arcano
Cerchio d’attorno
Levante d’ausilio
Ponente consiglio

Spira avvolgente
Vuoto d’ignoto
Sono sospinto
In pozzo infinito

Livello d’inizio
Plurime nicchie
Stringono traccia
Del  buon operare

Scesa prosegue
Antro più vasto
Conserva severo
Agire mio errato

Imo novello
Di altri maggiore
Mostra impietoso
Il quanto non fatto

In scrigni mezzani
Le scelte dubbiose
L’omesso voluto
I possibili meglio

D’esistenza trascorsa
Il  maggiore di tutto
È l’insieme massivo
Di quanto non svolto

Luce calda risplende
Riecco seggio d’inizio
Cerchio scompare
Cruccio permane

Rivolgo pensiero
A Levante e Ponente
A percorso compiuto
Pago forse mio fare

Forse …