Thursday, October 4, 2018

Ottobre 05 2018 Venerdì. n° 2714 + 11 NS  (nuova serie). Pensiamo positivo. 

Recordatio 
Da Diari di Vita -  Vita novella
Nella nuova casa trovo comodità, interessi, amici, prati ove giocare. Frequento anche la Villa Fiorelli che è di fronte le finestre, con mia madre che stende un canovaccio su quella della cucina quando comunica che il pranzo è pronto o si debba rientrare. Ho già detto che siamo al quinto piano, non ci sono ascensore né riscaldamento e, almeno per ora, nemmeno il gas, che verrà allacciato in seguito; frattanto utilizziamo il carbone fornito da un vicino carbonaio - varechinaio, sempre coperto di polvere nera, figura già rara allora e destinata presto a sparire. Farsi cento gradini più volte il giorno per salire o scendere non mi crea problemi, forse non sarà così per qualche anziano o malato, ma quanti sono gli edifici che oggi hanno l’ascensore? Non certo quelli di lavoratori come il nostro. Altrettanto per il riscaldamento, nessuno si aspettava di trovarlo, pure questo è nelle case signorili e, per quanto ci riguarda, non resta che arrangiarci. Abbiamo due camere, una maggiore e una minore, il bagno, finalmente con la vasca ma non il bidet, una cucina utilizzata sia per consumare i pasti, sia da mia madre per i suoi lavori di cucito; il corridoio immette in tutti i vani. Non c’è balcone, sia da noi sia negli altri appartamenti. Saranno circa sessanta metri quadri ma rispetto la precedente è una reggia ed è nostra, non è poco. Mio padre l’ha avuta iscrivendosi a una cooperativa della società ferroviaria ove lavora, come tutti gli altri aderenti, così si è creato un insieme di proprietari omogeneo. Poi saprò che egli aderì all’iniziativa cedendo alle insistenze di mia madre, forse incinta, e mia nonna, poiché era titubante ad accettare un impegno che prevedeva una spesa di quasi novantamila lire d’allora, cifra enorme, sia pur rateata con un mutuo trentacinquennale, con quote mensili sulle 200 lire, oltre le spese condominiali. E ciò con una paga sulle sette - ottocento lire e mio padre che aiuta la sua famiglia, genitori e sorelle. Questo porterà che in seguito, e per alcuni anni, come farà la maggior parte degli altri condomini, si subaffitterà a qualcuno la camera minore per recuperare un centinaio di lire mensili. Per quanto ci riguarda, dopo un paio di tentativi, troveremo come subaffittuaria una famigliola marchigiana con una figlia della mia età, con cui ho le prime infantili esperienze sessuali (lei mi fa vedere culetto e cosina ed io il pisellino, nell’ignoranza assoluta di cosa si stia combinando). E’ evidente che in questo periodo dormiamo in un’unica stanza, la maggiore, ma ciò non costituisce sacrificio, ci siamo abituati e non sarà per molto. Rivedo ancora il giorno del trasloco, la camera ingombra di mobilio e oggetti che devono essere sistemati. L’orologio a pendolo è in terra, ritto contro il muro, la mia curiosità mi spinge a toccarlo ma esso scivola e sarebbe caduto se non avesse trovato un pacco a impedirlo. Pur spaventato, non rinuncio a giocare con la calamita e il proiettore a lastre che avevo già maneggiato sul marciapiede. Poi con faccia tosta chiamo mio padre e gli faccio notare che l’orologio sta per cadere; e lui: “bravo, poteva rompersi!” (inizio a capire come va la vita). Finalmente dormo in un letto mio, questo lo ricordo, seguo mia madre al mercato di via Orvieto, unico in zona e alquanto lontano; io stesso mi reco quotidianamente ad acquistare il pane in un negozio gestito da due fratelli marchigiani, conoscenti di famiglia, che segnano la spesa, regolata poi mensilmente da mio padre. Ricordo che eravamo in molti a comprare il pane raffermo, non fresco, evitandone così un consumo eccessivo. Faccio in modo comunque di ricevere una piccola giunta di pizza all’olio, che mangio strada facendo. Una volta in questo negozio mio fratello, per prendersi una rifilatura di mortadella dal piano di un’affettatrice, mette incautamente la mano nella macchina al momento di attivazione, con la conseguenza di subire un vistoso taglio in un paio di dita, rivelatosi, fortunatamente meno grave del temuto dopo la cucitura della ferita al Pronto Soccorso, con segni ancora ben visibili. Anche una ragazza che vive accanto a noi, Adriana, mi porta a volte al mercato, non dico per compagnia data la sua età maggiore, quanto per fare un piacere a mia madre; io ci vado volentieri poiché ne ricavo sempre qualcosa di gradito, olive o una granatina alla menta! Mia madre poi mi conduce ad assistere a qualche funzione religiosa nella chiesa della Madonna dell’Orto, anticipando un impegno che, sempre suo tramite, prenderò nel futuro. Mio fratello frequenta la quarta o la quinta elementare all’Armando Diaz mentre io sono in attesa, quando sarà il momento, di iniziare la prima. Circa asili sembra che qui non ne esistano, quindi resto in casa e mi dedico ai campi sottostanti. Infine, senza che me ne avveda in anticipo (come potrei? Non ho la più pallida idea di come nascano i bambini) giunge una sorellina che riempie la famiglia di gioia e alla quale vogliamo un bene immenso. Sono certo di non aver provato gelosia alcuna per tale arrivo. La seguo, gli faccio moine a modo mio, insegno a camminare fuori dal girello (in vimini). Tale gioia però dura poco. A due anni circa lei ci lascia. Una grave infezione (setticemia? tetano?) conseguente sembra alle vaccinazioni allora effettuate sulle braccia con pennini disinfettati alla meglio, e qualche reazione imprevista, la porta via in pochi giorni. A nulla vale il ricovero al Policlinico ove avranno pur fatto il possibile per salvarla (ah, ci fosse stata la penicillina sarebbe ancora viva!).L’ultima immagine che ne ho è nel salone dell’obitorio, è posta in una piccola bara bianca e sembra assopita. Mio padre, distrutto e solo (mia madre non l’ha fatta venire), le alza il vestitino per vedere se sia stata sottoposta ad autopsia ricevendone purtroppo conferma. Vicino c’è il corpo di un signore con mosche sul viso, come profanasse il sonno di mia sorella. Il tragitto per il cimitero del Verano è breve e la cerimonia funebre modesta; il corpicino finisce in uno dei tanti campi dei bambini (quanti ne morivano allora!). Mia madre quasi impazzisce e solo la grande fede la porterà fuori dal tunnel della disperazione. In quel periodo in casa una farfallina comincerà a girargli attorno e a lei piacerà pensare trattarsi non di un tarlo, ma della nostra Rita che stia cercando di consolarla. E’ il primo impatto con la morte, terribile e inspiegabile! Sono tornato anche adulto in quel luogo angoscioso a rivedere il posto e, pur con le tante varianti ivi apportate, l’ho immaginata dormiente, col suo vestitino bianco. Purtroppo non riusciremo neppure a raccoglierne i resti. Nel 1943, nel pieno della guerra e dei bombardamenti che colpiscono anche il cimitero del Verano, il campo di sepoltura viene rimosso e noi ci accorgiamo che lei ci ha lasciati del tutto. Sarà stato pur affisso qualche comunicato per questo intervento, ma con l’emergenza del momento ci sfuggì. E’ un altro dolore che si somma al primo e mi stringe la gola

Probabiliter
Il miracolo della mente umana
Parlo di un evento personale, concreto e non molto remoto. Sono con amici per turismo in Turchia, dintorni di Istanbul, modesto nucleo abitato. Non è il centro della città ove per i rapporti reciproci tutto è agevolato dall'onnipresente inglese, in secondo grado il francese e, perché no? anche parecchi uomini, donne, giovani, che masticano qualcosa di italiano e spagnolo. Qui in loco, al momento, turco e basta, ed io del turco non ne capisco un accidente, anche se devo dare atto a Kemal Ataturk di aver abbandonato gli ostici caratteri arabi destrorsi per il nostro alfabeto occidentale sinistrorso, per me, infinitamente più chiaro. Io e il mio amico, accantonate per ora prove inutili, ci arrangiamo all'italiana, soprattutto con segni di mani, di braccia, mimica facciale, notes e matita per qualche dettaglio, cose in cui i turchi ci somigliano parecchio (vengono o no i nostri toscani, cioè gli etruschi, dalle genti delle loro lande interne?). Peccato però, perché per motivi plurimi turistici, archeologici, storici, gastronomici, avevano programmato di passare in luogo l'intera giornata. Decidiamo comunque di fermarci pur se, senza una lingua in comune, al momento non trovata (potrebbe andar meglio dopo) non è che ciò faciliti il restare. Qui avviene il caso del mio scritto. E' mattino e un signore turco di media età, sulla cinquantina, vedendoci in difficoltà, si avvicina e, anziché parlare turco, usa un idioma europeo. Che sia un inglese accroccato, fai da te, tipo quello delle nostre scuole anni trenta con cui non riuscii a capire una parola dai prigionieri USA prossimi al presidio ove ero in servizio, e loro a capirne almeno una del mio disastrato esprimermi? (già, per motivi del fato, che non tratto, un mio volontariato di diciassettenne col Duce si concluse nella Wermacht). No, non è turco, non è inglese, non è francese, è solo un discreto tedesco. Il signore dice di essere stato per venti anni emigrato di Germania come lavoratore edile specializzato (in che?). Io il tedesco lo parlavo accettabilmente settanta anni prima, dopo un anno di lingua scolastico e sei mesi passati coi crucchi, poi con il crollo del 1943 – 1945 esso è entrato nel dimenticatoio assoluto, sostituito in toto da un inglese soprattutto tecnico. Feci più volte un break per vedere se dopo ben più di mezzo secolo ne ricordassi qualcosa. Tempo perso, al massimo una venti-trenta parole e nulla più. L'amico con me altrettanto, pur se in casa paterna, a Fiume (lui però è natio di Genova) il tedesco lo parlava il nonno e un po’ il padre. Da parte di mamma no, erano emiliani doc. Ebbene, ecco il fenomeno che mi capita. Sento aprirsi una finestra temporale nel cervello e, dopo uno – due minuti al massimo, converso in tedesco con il turco ora compagno di brigata, giacché si mette a nostra disposizione per cento cose da facilitare e mostrare, nonché lo inviteremo a pranzo e passerà con noi l'intera giornata. Ci verrà a trovare anche il giorno dopo a Istanbul, pur se ivi la sua mediazione linguistica non era più indispensabile. Una giornata a parlare tedesco e di tutto dopo quasi settanta anni seguiti da silenzio assoluto! Il mio amico si disbriga un po’ anche lui e si congratula poi con me dicendo: "Non l'avevi mai accennato che conosci e parli bene il tedesco, perché non l’hai detto a suo tempo in Direzione?” (eravamo colleghi di lavoro). Altrettanto si meraviglia mia moglie che non ha mai ben digerito le mie simpatie e il mio fare con i germanici del fronte di Anzio del 1944. Poi le due giornate passano, il turco ci abbraccia e torna al paesino mentre io percepisco, direi materialmente, che la finestra mentale spalancatasi d’improvviso si chiuda di nuovo a catenaccio e lucchetto ed io, in fatto di tedesco, torni a essere il ciuccio di sempre. Anche prima di scrivere queste note ho rifatto una prova, delusione, l'oblio settantennale è tornato imperioso e mi limito a rammentare sì e no le consuete venti - trenta parole. Miracoli della mente, miracoli del lavoro delle sinapsi cerebrali che, se vogliono, tirano fuori anche il ricordo di quando siamo venuti alla luce dal grembo materno. Esperienza questa che ho affrontato di persona, mi ha fatto riflettere parecchio, pur con i miei studi in psicologia, e di cui ho inteso farne parte con chi mi legge.

Consideratio 
Scadenze da onorare
Ho detto che quando scrivo qualcosa c’è sempre una base di verità. Ovvia la mia facoltà di apportare aggiustamenti, varianti, spunti più o meno di fantasia onde rendere il racconto gradevole e accetto. Però in ciò che riporterò l’estro e l’immaginazione hanno influito poco. Esso si è svolto come indicato, salvo quei dettagli che ho omesso non desiderando personalizzare troppo persone e tempi. Allora, venti-trentanni orsono avevo un amico di elevato lignaggio sia di famiglia, sia di lavoro (con le figlie amiche delle mie). Era un superiore di grado, direttore di ramo produttivo, nonché esponente cadetto di una famiglia di principi partenopea, a livello dei Caracciolo, San Severo, Pignatelli, Carafa, Brancaccio, di cui ritengo non riferire il casato. Aveva fatto la guerra. Era stato un ufficiale di medio livello, mi sembra Capitano, poi destinato ai servizi di Stato Maggiore dopo la degenza per una ferita al fronte. Raccontava spesso a noi giovani del ventennio le sue esperienze e noi lo seguivamo attenti, apprendendo parecchio dal suo modo di vedere, pensare, valutare fatti e Capi, nonché apprezzando i suoi punti di vista da Principe i quali, ovvio, non potevano essere i nostri. Circa il fascismo e il Duce, anche da lui apprezzato, poi contestato ma mai rinnegato, ci ripeteva che era evidente il loro accostamento con i suoi Masaniello e i moti napoletani o il nostro Cola di Rienzo e le vicissitudini romane, tutto finito male per carenza di formazione, educazione, esperienza di vita, e faceva capire che il comportamento di loro altolocati in parità di situazioni sarebbe stato ben differente e producente, ciò a valere sia per il Duce, sia per l’esaltato Hitler, sia per gli altri. Era un appassionato di studi classici e in casa disponeva di una biblioteca che gli invidiavo. Aveva una formazione e preparazione eccellenti pur se la semplicità di vita e comportamento erano proverbiali per noi tutti. Viveva nella palazzina aziendale della Società, un tempo villa di famiglia degli Albani, ove alloggiavo anch’io in benefit aziendale. Solo che lui occupava un ampio appartamento di rappresentanza del piano Top, mentre io ero nel superiore, destinato un tempo alla vita corrente del Cardinale. Il suo fox-terrier portava il nome di Argo, il cane di Ulisse, l’unico che riconobbe il padrone al ritorno dall’assenza per mare e terra. Il principe, direttore di stabilimento e chiamato laicamente dottore, compì un certo numero di anni, sui sessanta, non ricordo bene, e invitò una cerchia d’amici, dipendenti e quadri interni di stabilimento, ad un rinfresco-simposio, nel suo studio, onde festeggiare l’evento. Egli volle precisarci cose riservate che non ci aspettavamo. Disse: “Oggi compio X anni e, contrariamente ai precedenti compleanni che pur abbiamo festeggiato questa è una ricorrenza speciale. Nel ramo della mia famiglia, come una maledizione, i componenti maschi sono deceduti prima della mia età di oggi per un funesto tumore alla mammella (maschile, non femminile) sempre rivelatosi incurabile. Anche io in tempi recenti ebbi delle avvisaglie ma tutto si è concluso positivamente e le ultime analisi hanno confermato un responso negativo e rassicurante. Quindi penso d’aver disilluso i miei avi sfatando la iattura che da tanto ci perseguita”. Complimenti di tutti, brindisi, strette di mano, abbracci, commenti salaci sulla buggeratura data dal principe a chi lo attendeva nell’al di la stringendo in mano l’atto di nascita. Il giorno dopo il Principe partì con la fiammante 125, l’ammiraglia Fiat del momento appena ritirata, per un break vacanziero nel sud d’Italia e nella sua Campania. Ebbene, in una superstrada pugliese la 125 si schiantò contro un furgoncino in un frontale avvenuto forse per la scarsa conoscenza della vettura nuova nonché, sembra, per una discussione prima del crack. Il conducente del furgone investito, ferito grave e con le gambe spezzate, morirà anch’esso in ospedale. Principe e moglie decederanno all’istante, il figlio e una parente, nel retro, resteranno feriti in maniera grave ma alla fine la sfangheranno. Così le figlie, rimaste a Roma per motivi di studio resteranno in un baleno orfane di entrambi i genitori. Il tutto mentre nell’al di la l’avo incaricato dell’accoglienza avrà borbottato …”ma che pensava il principino di farla franca col destino? Se era scritto anni X così doveva essere. Vieni nipote, ti aspettavamo”. C’è un corollario anche per il suo cane “Argo”. Era ormai vecchio, ben oltre l’età massima di esistenza che si attribuisce loro e divenuto, oltre acciacchi vari anche incontinente, problema importante visto che il Principe era uso portarlo in vettura nei suoi spostamenti. Ebbene, l’amico e padrone decise di facilitargli un po’ in anticipo il passaggio nell’al di la affermando che lo faceva per pietà, per il suo bene. In effetti sapevamo che ciò lo decise soprattutto per il timore che “Argo”, con le sue perdite, danneggiasse la tappezzeria della ammiraglia di lusso appena consegnata. Eppure fummo in molti a meravigliarci di questo atto non da lui, che aveva sempre portato affetto al suo fox. E gli contestammo: …”Principe, dottore, non lo faccia! Non è una fine naturale anche se l’età è alta! E’ azione che potrebbe portar male a voi che avete adorato Argo per tanti anni”… Poco dopo Argo correrà incontro al Principe ignorando nella sua bontà l’episodio dell’iniezione letale. Devo aggiungere un ulteriore evento. Poco tempo dopo una dissennata lotta sindacale porterà la nostra azienda alla chiusura, non al fallimento. Il vice del principe, già direttore di produzione che aveva assunto le sue mansioni, semi-impazzito per la chiusura del prestigioso opificio, salì al quarto piano dell’edificio, ove io avevo lavorato per anni fra sfarinati e carrelli, e si gettò nel vuoto, vittima ulteriore della politica d’urto CGIL e altri sindacati succubi. Pensai fosse andato a riferire gli ultimi eventi al suo Capo.. Ah! i lati bui della vita opposti a quelli chiari!


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