Tuesday, October 9, 2018

Ottobre 09 2018 Martedì. n° 2714 + 13 NS  (nuova serie). Pensiamo positivo. 

Recordatio  
                                       .. segue Diari di vita - infanzia che fugge via
........ Anche una ragazza che vive accanto a noi, Adriana, mi porta a volte al mercato, non dico per compagnia data la sua età maggiore, quanto per fare un piacere a mia madre; io ci vado volentieri poiché ne ricavo sempre qualcosa di gradito, olive o una granatina alla menta! Mia madre poi mi conduce ad assistere a qualche funzione religiosa nella chiesa della Madonna dell’Orto, anticipando un impegno che, sempre suo tramite, prenderò nel futuro Mio fratello frequenta la quarta o la quinta elementare all’Armando Diaz mentre io sono in attesa, quando sarà il momento, di iniziare la prima. Circa asili sembra che qui non ne esistano, quindi resto in casa e mi dedico ai campi sottostanti. Infine, senza che me ne avveda in anticipo (come potrei? Non ho la più pallida idea di come nascano i bambini) giunge una sorellina che riempie la famiglia di gioia e alla quale vogliamo un bene immenso. Sono certo di non aver provato gelosia alcuna per tale arrivo. La seguo, gli faccio moine a modo mio, insegno a camminare fuori dal girello (in vimini). Tale gioia però dura poco. A due anni circa lei ci lascia. Una grave infezione (setticemia? tetano?) conseguente sembra alle vaccinazioni allora effettuate sulle braccia con pennini disinfettati alla meglio, e qualche reazione imprevista, la porta via in pochi giorni. A nulla vale il ricovero al Policlinico ove avranno pur fatto il possibile per salvarla (ah, ci fosse stata la penicillina sarebbe ancora viva!). L'ultima immagine che ne ho è nel salone dell’obitorio, è posta in una piccola bara bianca e sembra assopita. Mio padre, distrutto e solo (mia madre non l’ha fatta venire), le alza il vestitino per vedere se sia stata sottoposta ad autopsia ricevendone purtroppo conferma. Vicino c’è il corpo di un signore con mosche sul viso, come profanasse il sonno di mia sorella. Il tragitto per il cimitero del Verano è breve e la cerimonia funebre modesta; il corpicino finisce in uno dei tanti campi dei bambini (quanti ne morivano allora!). Mia madre quasi impazzisce e solo la grande fede la porterà fuori dal tunnel della disperazione. In quel periodo in casa una farfallina comincerà a girargli attorno e a lei piacerà pensare trattarsi non di un tarlo, ma della nostra Rita che stia cercando di consolarla. E’ il primo impatto con la morte, terribile e inspiegabile! Sono tornato anche adulto in quel luogo angoscioso a rivedere il posto e, pur con le tante varianti ivi apportate, l’ho immaginata dormiente, col suo vestitino bianco. Purtroppo non riusciremo neppure a raccoglierne i resti. Nel 1943, nel pieno della guerra e dei bombardamenti che colpiscono anche il cimitero del Verano, il campo di sepoltura viene rimosso e noi ci accorgiamo che lei ci ha lasciati del tutto. Sarà stato pur affisso qualche comunicato per questo intervento, ma con l’emergenza del momento ci sfuggì. E’ un altro dolore che si somma al primo e mi stringe la gola 

Probabiliter 
Megalomania Pour-parler fra noi, a volte è opportuno.
In una riunione, causa fra l’altro questo mio terzo volume e i quasi quattrocento inserti dati in lettura ai miei amici-amiche, c’è stato chi mi ha classificato come affetto da megalomania e, ancor peggio, ciò mi è stato riferito extra seduta, da “megalomania senile”. Mi sono stati addebitati anche il Culto della personalità, genericità ed imprecisione di idee, mia azione nell’insieme dannosa in quanto tesa a divulgare dottrine, eventi, persone, non in linea con gli intendimenti odierni. Non nascondo che questo mi ha profondamente colpito. Ho cercato di spiegarmi cercando, per quanto possibile, di difendere e giustificare la mia persona e operato. Rifiuto ovviamente l’attributo di Megalomane, mai sofferto di complessi siano essi di superiorità, ancor più di inferiorità (beh! In verità un po’ di indebita superiorità penso di averla, mannaggia). C’è che giunse un momento nella mia vita che decisi di avviare un intervento comunicativo rivolto a coloro di generazioni successive, non escludendo chi più o meno mio coetaneo. E che dire mai? Vista l’ignavia corrente sui miei tempi giovanili, la disinformazione e, sovente, la falsificazione della realtà, ho pensato raccontare a chi mi segue e gradisce le esperienze della vita e del tempo mio e dei coetanei. Potevo scegliere una forma impersonale, solo cronologica, con indici di gradimento di grado alquanto scarso, comunque non eccelsi. Così ho preferito esporre l’iter esistenziale riferendolo si alle vicende del periodo, ma anche a una persona testimone in diretta. Ecco la scelta di parlare di me in inserti autonomi l’uno dall’altro, pur riuniti nel filone dell’insieme umano del periodo trattato. Di un me esteso all’infinito, intendendo rappresentare uno qualsiasi del mio periodo. Io per tutti, tutti per me. Se poi queste descrizioni siano giunte addirittura ai tempi correnti ciò è avvenuto per una ovvia consecutività e per l’entusiasmo che quando si avvia è difficile fermare. L’idea mi nacque anni or sono e non l’attuai per gli impegni in atto finché, più libero, non venni invitato da un gruppo di ragazzi in gamba a parlare della mia gioventù, amici, eventi fausti e infausti che si susseguirono e del dopoguerra, consci che gli eventi succedutisi non dovessero essere così negativi e reietti come era stato presentato e per consuetudine perversa purtroppo istituzionalizzata. Così ho parlato della mia esperienza partendo da una venuta al mondo sul finire degli anni venti sino a giungere gradualmente a ieri, ad oggi. Eccomi allora a dire di amici e non amici, di fatti, esperienze, idee, di superiori, di Capi, Duce. Da qui il pericolo di essere considerato un megalomane con qualche antipatico attributo in più, come il solito “senile” tirato fuori dai poveri di spirito i quali non considerano che un giorno non remoto l’età avanzata colpirà anche loro. Mi sono però risparmiato l’accusa di essere un millantatore, chi mi segue almeno ciò lo ha capito e evitato. Rifiuto pure il sospetto di esser stato non rispettoso della verità su quanto descritto. Ho sempre detto che quanto da me esposto sia nell’insieme vero, con spazi per le tolleranze esistenziali opportune e compatibili. Infatti ciò che potrebbe avere entusiasmato me, o abbia ritenuto scostante, non escludo possa avere avuto esiti opposti in altri, ferma l’oggettività di quanto considerato. Rifiuto altresì l’idea di fomentare denigrazioni della realtà civile in atto. I miei tempi sono passati e non torneranno come esperienza del momento; sono convinto però che essi siano stati il proseguimento di epoche precedenti, nonché la base della successiva società. Lo scopo allora del mio tentativo divulgativo, ferma la possibilità di una vera editorialità sin’oggi negata per la mia indisponibilità ad artefare o alterare il pensiero espresso (affrontata però direttamente), è quello di ricordare agli immemori, e far conoscere ai nuovi, l’esistenza di un periodo in cui l’Italia cercò di essere un paese all’avanguardia di vita e civiltà. Un’Italia proletaria e povera che riuscì a scrollarsi di dosso la maggior parte delle sue tare plurisecolari, un’Italia forse impreparata ad una forma di democrazia odierna e moderna. Un’Italia che si espandeva in siti africani e province d’oltremare, Libia e Africa Orientale, ove si sarebbe riversata l’eccedenza della prolificità del nostro popolo, un’Italia che si rinnovò in dieci-quindici anni in campo edilizio, pubblico, difesa. offesa, legislativo, formativo, didattico. Un’Italia che svolse interventi molteplici sia nelle loro positività che, purtroppo, in diverse negatività, che si rivelarono maggiori dei benefici delle prime. Un’Italia che seguì un decollo, sviluppo e declino, sino al crollo che ci riportò indietro di tempi e aspettative, ad una fine materiale e morale per molti di noi. E’ questo che ho cercato di dire agli amici che mi hanno seguito in questa avventura concretata nel Trittico della memoria. Amici che in centinaia di migliaia di volte hanno aperto il mio libro mediatico, anche cartaceo, per esaminarne e spero apprezzarne il contenuto. Hanno collaborato con me i coadiutori di sempre, cioè la fantasia che completa e chiarisce, l’estro, le convinzioni iniziali e successive, le facoltà d’accorpamenti, semplificazioni, complementi, omissioni. Ecco perché rifiuto l’appellativo di megalomane coi suoi attributi. Oltretutto sono pago di essermi dedicato in età avanzata a parlare di ciò che sarebbe caduto in oblio, ciò era un peccato da non consentire. Mi lusingo al pensare che un giorno possano esserci persone le quali, pur non conoscendomi, abbiano l’opportunità di rivisitare equamente il periodo della mia, nostra vita. E non è poco. No, non l’accetto, non sono un megalomane, chi l’ha detto ha errato.....

Consideratio
Firme dei padri - Problemi a scuola (parte 1 di 3)
Ebbene sì, lo ammetto, anch'io in gioventù misi qualche firma falsa di mio padre. Per l’esattezza tre. E’ chiaro che mi viene ilarità al pensare quante ne abbiano messe i miei figli sui libretti della scuola o, per stare ad oggi, le nipoti. Però ai miei tempi esse erano “sacre” e escludevamo l’idea di sotterfugi. Vi espongo il primo caso. E’ il 1941. In una delle cavolate che ci inventavamo noi balilla per fare casino, un giorno decidiamo di fare un’incursione nell'ultimo piano della scuola, ove era la sezione femminile, rigidamente separata dai maschi, peggio che in clausura. Volevamo arrivare li, in cinque o sei, durante la ricreazione, per consegnare ad una caposquadra (era Letizia, ne ho parlato) un libro giunto al Comando in palestra, indirizzato alla capo-manipolo, una esterna, ma Letizia era la vice e aveva titolo a ritirarlo. E’ chiaro che volevamo solo farci belli con le ragazzine. Poi noi, per via di un’adunata pomeridiana, eravamo già in divisa, quindi predisposti a fare i bulletti virili. C’è da dire che, pur sapendo di non poter entrare nel sancta-sanctorum femminile, lo decidemmo quale prova di coraggio, scegliendo i pochi minuti della ricreazione, nella speranza che i professori stessero lontani per un po’. Così giungemmo sottecchi al piano, il volume sotto il mio braccio, puntammo con un certa ufficialità verso la porta e entrammo nel corridoio. Poi, dandoci un contegno, ci dirigemmo verso la classe di Letizia, superandone alcune ove era in atto un modesto baccano, roba da suore, con alunne che vennero ad affacciarsi alla porta per vedere noi temerari e ammirarci! Raggiunta Letizia lei mi guardò sgomenta per l’intrusione e le possibili conseguenze, comunque mi trattò con gentilezza (non era in divisa, non si mise sull'attenti), prese il volume, gli dissi che giaceva da giorni in deposito e mi confermò che l’aspettavano. Era evidente anche per lei trattarsi di una scusa banale. Fatta l’incombenza e scambiati sguardi significativi, sbattemmo i tacchi, facemmo dietro-front e ci allontanammo, fieri del nostro ardire e del loro stupore. Successe però che nell'entrata opposta al corridoio apparve la vice-preside e ci vide. Noi accelerammo l’uscita, quasi fuggendo, fra i lazzi delle alunne fuori dalle aule. Quello di noi più spilungone, riconosciuto e chiamato (mannaggia!), si fermò ad aspettare, mentre noi scendemmo facendo gli scalini quattro a quattro (uno si storse pure la caviglia). Poco dopo ci fu il processo in direttissima per quel qualcosa che non era stato nulla di nulla e aveva provocato solo un po’ di trambusto. In un batter d’occhio ci trovammo davanti al preside, c’era anche il comandante dei balilla-professore di ginnastica, con la solita faccia feroce, tanto per cambiare. Ci venne imputata un’incursione provocatoria, incivile, vietata dalle regole scolastiche, con l’aggravante che eravamo in divisa, presente addirittura un caposquadra (io). Finita la filippica del preside attaccò il nostro comandante-prof, che si disse indignato per questo atto inqualificabile. Entrambi rifiutarono la scusa del libro da consegnare. Poi il comandante-prof chiese cinque giorni di sospensione per tutti, nota di biasimo da far firmare al padre o chi per lui, e il ripresentarsi accompagnati da un genitore. Allora il preside, ferme le pene “accessorie”, decretò tre giorni di sospensione. Indi alla sovietica, ove tutti dovevamo dichiararci colpevoli, chiese se eravamo coscienti del nostro agire e ritenevamo giusta la punizione. Io mi ero velocemente accordato con gli altri. Faccio un passo avanti, saluto a braccio teso e rispondo: …“siamo spiacenti di aver infranto una disposizione che conoscevamo. Riteniamo giusta la decisione ma chiediamo di partecipare alle lezioni. Per assolvere la punizione proponiamo di andare per tre pomeriggi ad aiutare i militi delle postazioni antiaeree dietro la scuola (c’erano tre batterie a meno di duecento metri). Così non saremo danneggiati nello studio e risulteremo utili a qualcosa”…. Il preside ci guardò meno gelido: “sta bene caposquadra, mi congratulo con voi e il comandante, andate, saluto al Duce”. Il comandante-prof per poco non mi abbracciò, anche se mostrava il viso duro, affermando che, fosse stato per lui…. potevamo ringraziare il cielo di aver avuto a che fare con quel babbione del preside. Fu così che ci presentammo con un foglio della GIL al comando delle batterie, già preavvertito. e per tre pomeriggi svolgeremo servizi di sistemazione, pulizie, piccole commissioni, comunque quasi niente. Dimenticavo, il vero timore era mio padre, duro su queste cose, così misi la firma falsa sulla nota di biasimo. Mia madre invece, senza dirgli nulla (che brava!), verrà lei a parlare con la vice-preside, combinandomi il guaio di dirgli, presenti le altre madri, che io ero “buono”, “rispettoso”, “andavo pure in chiesa”, “forse si sbagliavano”, “ero stato trascinato da compagni vassalli”. Porca miseria che vergogna! e la mia dignità di duro, di caposquadra, di balilla, di ammirato dalle Piccole Italiane, che fine faceva? ah le madri che ci vedono sempre come pulcini implumi! Poi tutto passò e non se ne parlò più. Nell'insieme è una scemenza, ma anch'essa è parte dei miei ricordi del tempo del Duce.

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