Sunday, November 18, 2018


N° 43 NS (Nuova Serie) Lunedì 19 novembre. Il Blog è rinato con una nuova serie, in quanto il 10 agosto 2018, con n° giornaliero 2714 (11 anni di attività), esso è stato azzerato da una infame azione di hackeraggio.

1864: La capitale d'Itaia è trasferita da Torino a Firenze
Detto di frati francescani: La carità fa ricchi - l'avarizia fa poveri

Recordatio Diario 1944 I tedeschi si allontanano  .......
 -  Gli eventi precipitano, siamo alla metà di Maggio. I tedeschi iniziano a ritirarsi dai fronti sud e di Anzio. Gli aerei alleati sono una costante nel cielo e ci sorvolano a poche decine di metri dai tetti dei palazzi. Si vedono uffici tedeschi che cominciano a smobilitare. Anche al presidio interno impaccano o bruciano molte cose. I tedeschi di stanza mi dicono che forse passeranno il Natale a casa; purtroppo sbagliano. Poi per alcuni giorni una sosta, infine un flusso di truppe traversa Roma in una calma irreale (accordo con USA, Papa?).
 -  Gran parte dei soldati è a piedi, sfilano senza incidenti anche autocarri e mezzi corazzati. Vedo passare automezzi con i ragazzi della “Decima” e del ”Folgore” provenienti da Anzio - Nettuno, sono stanchi; li ammiro, avrei dovuto essere con loro e invece mi trovo da altri Un colpo di cannone di qualche carro, tremendo per potenza, sparato nelle vicinanze di piazza Lodi per segnalare qualcosa, e un boato più lontano, sono gli ultimi che colpiscono le nostre orecchie, poi un silenzio assurdo. Il secondo viene da un carro Tigre fatto saltare in via di Porta Maggiore per fine carburante, a due passi dalla mia scuola. Un amico romano quindicenne, che è la mascotte del reparto, è lasciato andare. Egli percorre due strade e imbocca il portone del suo palazzo ancora con la sua divisetta SS.
-  Mentre nel lavoro tutti si defilano io, su ordine del Presidio e invito della direzione rivolto anche a qualche altro, presidiamo lo stabilimento per evitare che qualche retroguardia di guastatori danneggi gli impianti o siano perpetrati saccheggi da parte della popolazione, considerando pure che gli alleati potrebbero subentrare due – tre giorni dopo. Per il primo caso i tedeschi sanno che lo stabilimento è del Vaticano e si guarderanno dal procurargli danni, per il secondo c’è il pericolo di assalti di affamati e sfruttatori. E’ promessa pure una presenza PAI.
 -  Gli austriaci, dopo averci salutato, lasciano l’ufficio con un’auto - carretta. Uno di loro, che sarebbe stato un futuro prete, mi dice aver pensato di restare a Roma, ma infangherebbe l’onore dell’esercito e la memoria dei genitori, morti nei bombardamenti. Io sono lasciato libero, con il compito di collaborare a presidiare gli impianti e i magazzini.Tutti sono chiusi in casa e aspettano. Si dice giri qualche camionetta non tedesca. In una città di due milioni di abitanti si sentono volare le mosche. Ne ho detto in Fiaccole di Gioventù. C'è da dire che noi dello stabilimento, oltre a aver fornito qualche assistenza ai militari in ritirata, italiani compresi, soprattutto acqua e vino della cooperativa, o solo per sciacquarsi un pò il viso, siamo stati pure coinvolti in un modesto aiuto a una retroguardia germanica con una caviglia slogata nel piazzale di Porta Maggiore, partecipi così dell'ultima azione in assoluto della presenza dei tedeschi in Roma

Probabiliter   La coda del Serpente
E’ una giornata particolare, con i tedeschi che si stanno ritirando da Roma in un clima di calma assurda e, in certi limiti, anche silenzioso, a parte le ultime cannonata e sferragliate carri. Il presidio Wermacht nel Pastificio, presente in loco a mò di tutela e protezione, si è ritirato anch’esso lasciandomi l’incombenza di collaborare con altri alla salvaguardia di impianti e prodotti altrimenti cìè il pericolo di finire alla mercè di guastatori di retrolinea o della canea rossa di San Lorenzo. Il tutto l’ho esposto nell’inserto “I tedeschi lasciano Roma” e non mi ripeto. Dico però di un fatto minore accaduto sotto le arcate del complesso di acquedotti romani sovrastanti la via e piazza, che Aureliano aveva inglobato nelle mura cittadine, aprendovi con alcune arcate la porta principale di Roma, detta Labicana, poi Major o Maggiore, fronteggiante l’area dello stabilimento e isolata con notevoli spazi ante e post d’attorno. Da essa entrarono in Roma più volte i barbari di varie etnie, per ultime le squadre delle colonne fasciste del sud nella Marcia su Roma e vedranno poi il passaggio di altri barbari, stavolta d'oltreoceano. Non male. Vi passavano da sempre i carri a vino che portavano le botticelle in città, oltre i carri infiorati e illuminati delle madonnare che andavano o tornavano dal Divino Amore. Oggi ci stanno transitando le formazioni germaniche in ritirata. Sono passati ormai tutti o quasi in un serpentone di mezzi, carri e soprattutto militari appiedati. Forse è finita, forse no. Ecco poi uno della retroguardia di qualche reparto procedere guardingo, con fucile imbracciato di traverso, pronto a qualche colpo d’avvertimento. Controlla dietro, destra, sinistra, avanti e potrebbe non essere solo, è consuetudine militare agire così, con retroguardie che proteggano le spalle a reparti antistanti. Oltrepassati gli archi un passo, un altro e il soldato cade in terra. Non è stato sparato nulla, si sarebbe sentito, qualcosa però è accaduto. oltre un passo falso potrebbe essere stata, pur improbabile, una pietra lanciata da qualcuno nascosto nella fossa funebre di Eurisace, ivi presente. Il danno subito sembra essere stato duro e aver danneggiato una gamba, tanto che il soldato, ora inginocchiato, cerca di slacciarsi la calzatura. Frattanto da un caseggiato di Porta Maggiore, ove è di stanza uno dei nostri della fabbrica in copertura allargata, ecco una telefonata: Un tedesco è stato colpito (l’avevamo visto). Qui c’è gente, già pronta, che ha deciso di farlo fuori, è urgente un intervento immediato. Che fare? L’ordine per noi è di non abbandonare lo stabilimento ma in tre, su mio invito, decidiamo un'azione di recupero, mentre i rimanenti resteranno solo per poco sguarniti di noi. Dico loro, più maturi dei miei diciassette anni, ma con totale inesperienza: Dobbiamo far qualcosa, nove mesi or sono ho visto un tedesco linciato in via Cavour da una canea di bestie umane oltre  un nostro ufficiale, questo mi dispiacque, pur se un primo colpo di pistola tp l’esplose proprio lui in quanto il crucco  … aveva cercato di difendersi e “scappava”. La scena dei calci in faccia, sputi, sassate si prolungò a non dire riducendo il poveretto a un ammasso informe, tipo il Duce un anno dopo. Vogliamo che si ripeta? No. E se i tedeschi ne venissero poi a conoscenza dieci ostaggi da fucilare non li leverebbe nessuno”. Telefono all’avamposto: Cercate che non siano avviate iniziative, è in arrivo una squadra di partigiani,  penseranno loro a prendere il ferito. Così in tre, due con moschetti a tracolla, usciamo e ci avviamo verso l’infortunato che ci ha visti. Siamo in tuta e in capo la bustina di lavoro, si potrebbe pensare a qualche divisa resistdnziale. Con la mano faccio segno al malcapitato di stare calmo, facendo notare i moschetti a tracolla e non in mano, lui deve comprendere. Giunti sul posto ecco nascere un breve conversare in Esperanto anomalo (italiano, tedesco, inglese, altro): Kameraten, ich bin ihr kamerate, buono, gut, kapish? Camminare nicht? Wir komm Du hospital, Ja? (orrore, ma capisce). Lo alziamo con scene mimate di sgarberie a uso di chi ci osservava da lontano e lo riportiamo sul lato opposto delle Mura, in via Casilina, pensando di giungere all’interno della vicina chiesa di Santa Croce, lasciandolo poi li, nel caso con uno di noi; nello stabilimento no, sarebbe stato il finimondo. Mentre ci stiamo avviando ecco il rumore tipico di una motocicletta a due tempi, certo un Zundap germanico, mi metto in mezzo la strada facendo gesti eclatanti di stop, col risultato che il conducente del mezzo modesto, un'altra retroguardia, frena, alza la machine-pistole sul petto e spara un colpo di avvertimento, conosco questo fare perché, se voleva, poteva stecchirmi. Non demordo agitando mani a dita aperte, così egli riavvia, si avvicina, gli ultimi cento, cinquanta metri guardinghi poi, vede il camerata sofferente: Ja? Was ist das? Gli mostro il ferito dicendo "Her ist ein ihren kameraten" e gli dico di portarlo via. Lo sistemiamo sul retro e la piccola Zundap riparte appesantita assieme ai loro Danke, gut Italienen (professoressa di tedesco perdonami). Assicuro il conducente che nei limiti possibili gli guarderemo le spalle. Così non ci fu un secondo linciaggio e magari un’inutile rappresaglia. Del tutto allora e oggi non resta traccia, nella fretta del fare, non fare, fermare, coprire, osservare, non ci fu modo e tempo di chiedere al beneficato almeno il nome o il reparto. Però le coscienze restarono tranquille, le opere di bene si fanno in ogni dove e senza distinzioni. In definitiva, onde smitizzare l'episodio, tutto filò senza problemi e si risolse in una manciata di minuti, dopo di che rientreremo in base. Non auguro di vedere cosa sia un linciaggio di un essere umano, parlo di uno vero, non mimato in qualche film d’effetto, io l'ho visto.

Consideratio
A Lhasa, nei monasteri buddisti del Tibet, un monaco anziano, di età indefinibile, sente prossimo il distacco dal mondo. Allora calmo, orando, si asside a gambe incrociate, raccolto su se stesso, sul pavimento della sua cella coprendosi per il possibile col suo manto. I confratelli capiscono e non lo importunano. Il monaco non mangia, non beve, non parla, ha gli occhi socchiusi ma non chiusi, forse nemmeno respira o lo fa con una lentezza agghiacciante. Giunge il momento del suo abbandono totale, pur se resta accovacciato, senza mai mutare posizione. E' vivo?  No? In che stato si trova? Non si sa, solo che il monaco è tutt'oggi nella sua cella, raccolto in terra, trascorsi  più di cinque secoli. Tutt'ora i monaci non disturbano la quiete del confratello rimasto chiuso in se stesso, non escludendo che la morte possa non averlo ghermito del tutto. Il fatto è vero. Ci ha fatto pensare sul nostro vivere inconsciamente disperato? Bene, è servito a qualcosa.

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