Ottobre 12 2018 Venerdì. n° 2714 + 15 NS (nuova serie). Pensiamo positivo.
Nel
corso del triennio i professori sono in sostanza gli stessi. Ricordo con
affetto l’anziana e brava insegnante d’italiano, Rampolla, quella di
matematica, le avvenenti professoresse di francese e chimica alle quali cerchiamo
di vedere meglio le gambe quando sono sedute sulla predella della cattedra. C’è
poi il professore di stenografia, strano tipo alla Gramsci, libertario e indipendente;
non che parli male di Mussolini ma non ne parla nemmeno bene e, con certi
atteggiamenti, fa capire l’esistenza di sue contrarietà sulle cose del momento;
per noi è incredibile! Come si fa a non volere bene al Duce? Com’è possibile
che lui, anche se evita di dirlo, la pensi in maniera diversa da tutti gli
italiani? Gli insegnanti sono disponibili, preparati, e si comportano come una
sottospecie dei tutors inglesi; non si rifiutano cioè di incontrarci
singolarmente o collettivamente, seguirci, darci spiegazioni anche fuori dagli
orari o delle giornate di lezione. Sono
umani si, ma severi nell’applicare le regole scolastiche e le norme del
comportamento; ciò non ci pesa, sono tempi in cui si rispettano le disposizioni
e di questa severità ne guadagna il rendimento e la considerazione della scuola
e nostra. Nel 1941 termino il triennio con voti molto buoni, una media
superiore all’otto, e conseguo il diploma di avviamento commerciale, ciò
assieme agli altri, nessuno escluso. Non è male come primo passo Non ci sono
bocciati pur se qualcuno è rinviato alla sessione autunnale. E’ già deciso da
me, e soprattutto da mio padre, che completi il ciclo con un biennio di studi
superiori, al termine del quale conseguirò il titolo di Computista Commerciale,
una maturità intermedia che ora non c’è più con la quale, sostenendo esami
aggiuntivi, si può passare volendo al terzo anno dell’istituto per ragionieri. Comunque
il titolo di computista è già più che sufficiente per l’inserimento nel lavoro. Mio fratello l’ha conseguito da qualche tempo presso l’Istituto Ernesto
Nathan, in via dell’Olmata. Egli,dopo tentativi poco fruttuosi per trovare un
lavoro, grazie anche ad alcune coincidenze e conoscenze nel palazzo di San
Lorenzo (famiglia Santolamazza, non ho mai ben capito chi fossero verso noi,
forse compari) è assunto dall’Istituto Nazionale Assicurazioni, ove rimarrà per
la sua vita lavorativa, coronando le aspettative sue e della famiglia.
Probabiliter
Recordatio
.. segue Diari di vita -
Tempo di scuole
Probabiliter
Zio Fritz complicata vicenda di
casa nostra
Zio Fritz era mio superiore e amico, sud
tirolese del nord di Bolzano, sottufficiale della Gendarmeria, di media età, in
servizio nel Comando germanico in Corso d’Italia. L’ho visto e incontrato più
volte e mi dava l’idea di un factotum bilingue svelto, preciso, onnipresente.
Era sempre disponibile col gruppo di noi ragazzotti ultimi arrivati, tanto da
meritarsi il titolo affettuoso di “zio” anche per l’età che consideravamo alta
(una trentina d’anni, forse poco più). Il nome Fritz venne aggiunto chissà da
chi, utilizzando il nomignolo con cui venivano indicati a volte i soldati
tedeschi. Comunque io, che ero nella vicina Caserma Bianchi, frequentavo spesso
Corso d’Italia ed è lì che lo conobbi come zio Fritz, e tale per me resterà. Il cognome esatto,
complicato (era tornato all’originario) non è possibile che lo rammenti, l’avrò
sentito un paio di volte. Ma che conta ciò? mai mi sono interessati i dettagli
anagrafici. Veniva dalla zona di Bolzano. Non accettava altoatesino, precisava
di essere sud tirolese e, come il mio amico Cruck, di far parte del 10° land
austriaco (?). Devo riconoscere che a zio Fritz spettava tutto il diritto
d’avere idee confuse sulla propria condizione umana. Il padre era stato Alpen - Jager
nella guerra mondiale combattendo contro l’Italia, come nonno e bisnonno nelle
precedenti con Radesky. La famiglia era di stretta osservanza asburgica e
fedele a Franz - Joseph. Poi arrivammo noi senza che ad alcuno
ne venisse chiesto il parere e iniziò una convivenza difficile, aggravata dalla
pletora dei funzionari del profondo sud lì trasferiti.Maggiori problemi li
ebbero coloro che avevano cognome italiano o convertibile con facilità, come il
suo che, vocabolario alla mano, divenne italico d’ufficio. Per loro si dava per
indiscussa l’agognata italianità. Così zio Fritz era stato inquadrato nel
Partito e nel contempo frequentava gli Schutzen (irredentisti tirolesi), oltre
l’Azione Cattolica che, differentemente da noi, era da sempre filo - asburgica.
Fece poi il militare per l’Italia e con la guerra si subì la campagna di Russia
con l’ARMIR del generale Messe.Giunse l’8 settembre
e i tedeschi occuparono l’Alto Adige per noi, sud Tirolo per loro, e molti
soldati del luogo di ceppo tedesco cambiarono divisa, ignoro con o senza loro
consenso. Zio Fritz entrò in un reparto destinato a Roma ove egli e altri si
resero utili per il bilinguismo corrente e un tocco d’italianità che pur c’era.
Con zio Fritz era nata una buona dose di confidenza, pur coi suoi dieci anni e
più di differenza d’età. Oltre il tedesco, di cui mi diede insegnamenti
pratici, parlava l’italiano meglio di me ed aveva una buona istruzione, avendo
svolto scuole superiori con la serietà austro
- italica.Ho parlato di zio
Fritz che a parte l’amicizia per me contava parecchio (furono diverse le
cortesie ricevute, oltre qualche modesta integrazione alimentare che a volte mi
passava per portare ai miei) in quanto, dopo avermi fatto un ultimo e grosso
favore, avvertendomi riservatamente che la nostra unità stava per essere
trasferita in Polonia (potei evitare così questa destinazione per me affatto
gradita), ci lasciò improvvisamente in quanto ci dissero che saltò in aria in
un attacco partigiano, per noi dovette essere a Roma, in via Rasella ove
morirono trentacinque militi del battaglione BOZEN (Bolzano), mezzi italiani
fra italiani, per lo più non giovanissimi, ma anche fosse altro sito nulla
cambierebbe. In merito ci fu la segretaria del tenente Rothmann che in italo - tedesco
mi sussurrò “zio Fritz ist kaputt”.Così egli ha
aggiunto al suo curriculum anche l’ultimo evento, l’andata al creatore ad opera
dei partigiani comunisti e magari essere ricordato a Bolzano nel memorial
dedicato ai caduti di via Rasella o in altra lapide commemorativa. Circa l’esistenza di quest’altro monumento
ne ho avuta notizia indiretta. Controllerò, eppure Bolzano credevo di
conoscerlo. Se possibile andrò un giorno a riverire le altre vittime
dell’attentato, oltre quelle delle Fosse Ardeatine. Ciao zio Fritz, ti
voglio bene e ricordo sempre, spero anche tu.
Consideratio
Yankee
sconosciuto
Accadde nel reparto
ove prestavo servizio. Un giorno in un giubbotto USA proveniente da Anzio,
forse di un prigioniero (morto o ferito non credo, sull’indumento non c’erano
lacerazioni) trovai in una tasca una busta sgualcita, non chiusa, con
all’interno un foglio scritto in maniera disordinata, in un inglese - americano
succinto, come usano fare nel loro slang d’oltreoceano. Non lo lessi, salvo un colpo d’occhio
d’insieme, né ne sarei stato capace perché, come al solito, era redatto con
termini per me ai livelli dell’incomprensibile, malgrado il mio modesto studio
della lingua. Sul frontespizio busta figurava poi un difficile indirizzo
statunitense, almeno per me, coi nostri
che non prevedevano nemmeno il CAP. C’era infine
un’aggiunta nella facciata retro, scritta a matita blu, evidentemente di fretta
e in un secondo tempo, che riportava: “..mummy… help …” e poche altre parole
non chiare, ove rilevai un “tanks”, “send”. Avrei dovuto consegnare la lettera
all’ufficio tedesco, decisi per il no. Quell’ ”help” mi aveva colpito. Passai
in borghese il confine Vaticano, guardato da pattuglie di parà della Goering, misi la
missiva in una busta e l’imbucai nella cassetta poste SCV. L’avrei potuta
consegnare a mano all’ufficio preposto ma non mi fidai. Poteva esserci qualcuno
della nostra polizia in servizio di collaborazione, come previsto dal
Concordato, magari con il compito di riferire su cose anomale. Data l’efficienza
del servizio di assistenza del Papa sono certo che la lettera sia giunta a
destinazione e il soldato abbia poi trovato la possibilità di scamparla,
tornare a casa.
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