Thursday, October 11, 2018

Ottobre 12 2018 Venerdì. n° 2714 + 15 NS  (nuova serie). Pensiamo positivo. 

Recordatio  
                           .. segue Diari di vita - 
Tempo di scuole
Nel corso del triennio i professori sono in sostanza gli stessi. Ricordo con affetto l’anziana e brava insegnante d’italiano, Rampolla, quella di matematica, le avvenenti professoresse di francese e chimica alle quali cerchiamo di vedere meglio le gambe quando sono sedute sulla predella della cattedra. C’è poi il professore di stenografia, strano tipo alla Gramsci, libertario e indipendente; non che parli male di Mussolini ma non ne parla nemmeno bene e, con certi atteggiamenti, fa capire l’esistenza di sue contrarietà sulle cose del momento; per noi è incredibile! Come si fa a non volere bene al Duce? Com’è possibile che lui, anche se evita di dirlo, la pensi in maniera diversa da tutti gli italiani? Gli insegnanti sono disponibili, preparati, e si comportano come una sottospecie dei tutors inglesi; non si rifiutano cioè di incontrarci singolarmente o collettivamente, seguirci, darci spiegazioni anche fuori dagli orari o delle giornate di lezione. Sono umani si, ma severi nell’applicare le regole scolastiche e le norme del comportamento; ciò non ci pesa, sono tempi in cui si rispettano le disposizioni e di questa severità ne guadagna il rendimento e la considerazione della scuola e nostra. Nel 1941 termino il triennio con voti molto buoni, una media superiore all’otto, e conseguo il diploma di avviamento commerciale, ciò assieme agli altri, nessuno escluso. Non è male come primo passo Non ci sono bocciati pur se qualcuno è rinviato alla sessione autunnale. E’ già deciso da me, e soprattutto da mio padre, che completi il ciclo con un biennio di studi superiori, al termine del quale conseguirò il titolo di Computista Commerciale, una maturità intermedia che ora non c’è più con la quale, sostenendo esami aggiuntivi, si può passare volendo al terzo anno dell’istituto per ragionieri. Comunque il titolo di computista è già più che sufficiente per l’inserimento nel lavoro. Mio fratello l’ha conseguito da qualche tempo presso l’Istituto Ernesto Nathan, in via dell’Olmata. Egli,dopo tentativi poco fruttuosi per trovare un lavoro, grazie anche ad alcune coincidenze e conoscenze nel palazzo di San Lorenzo (famiglia Santolamazza, non ho mai ben capito chi fossero verso noi, forse compari) è assunto dall’Istituto Nazionale Assicurazioni, ove rimarrà per la sua vita lavorativa, coronando le aspettative sue e della famiglia. 

Probabiliter
Zio Fritz  complicata vicenda di casa nostra
  Zio Fritz era mio superiore e amico, sud tirolese del nord di Bolzano, sottufficiale della Gendarmeria, di media età, in servizio nel Comando germanico in Corso d’Italia.  L’ho visto e incontrato più volte e mi dava l’idea di un factotum bilingue svelto, preciso, onnipresente. Era sempre disponibile col gruppo di noi ragazzotti ultimi arrivati, tanto da meritarsi il titolo affettuoso di “zio” anche per l’età che consideravamo alta (una trentina d’anni, forse poco più). Il nome Fritz venne aggiunto chissà da chi, utilizzando il nomignolo con cui venivano indicati a volte i soldati tedeschi. Comunque io, che ero nella vicina Caserma Bianchi, frequentavo spesso Corso d’Italia ed è lì che lo conobbi come zio Fritz, e tale per me resterà. Il cognome esatto, complicato (era tornato all’originario) non è possibile che lo rammenti, l’avrò sentito un paio di volte. Ma che conta ciò? mai mi sono interessati i dettagli anagrafici. Veniva dalla zona di Bolzano. Non accettava altoatesino, precisava di essere sud tirolese e, come il mio amico Cruck, di far parte del 10° land austriaco (?). Devo riconoscere che a zio Fritz spettava tutto il diritto d’avere idee confuse sulla propria condizione umana. Il padre era stato Alpen  -  Jager nella guerra mondiale combattendo contro l’Italia, come nonno e bisnonno nelle precedenti con Radesky. La famiglia era di stretta osservanza asburgica e fedele a Franz  -  Joseph. Poi arrivammo noi senza che ad alcuno ne venisse chiesto il parere e iniziò una convivenza difficile, aggravata dalla pletora dei funzionari del profondo sud lì trasferiti.Maggiori problemi li ebbero coloro che avevano cognome italiano o convertibile con facilità, come il suo che, vocabolario alla mano, divenne italico d’ufficio. Per loro si dava per indiscussa l’agognata italianità. Così zio Fritz era stato inquadrato nel Partito e nel contempo frequentava gli Schutzen (irredentisti tirolesi), oltre l’Azione Cattolica che, differentemente da noi, era da sempre filo  -  asburgica. Fece poi il militare per l’Italia e con la guerra si subì la campagna di Russia con l’ARMIR del generale Messe.Giunse l’8 settembre e i tedeschi occuparono l’Alto Adige per noi, sud Tirolo per loro, e molti soldati del luogo di ceppo tedesco cambiarono divisa, ignoro con o senza loro consenso. Zio Fritz entrò in un reparto destinato a Roma ove egli e altri si resero utili per il bilinguismo corrente e un tocco d’italianità che pur c’era. Con zio Fritz era nata una buona dose di confidenza, pur coi suoi dieci anni e più di differenza d’età. Oltre il tedesco, di cui mi diede insegnamenti pratici, parlava l’italiano meglio di me ed aveva una buona istruzione, avendo svolto scuole superiori con la serietà austro  -  italica.Ho parlato di zio Fritz che a parte l’amicizia per me contava parecchio (furono diverse le cortesie ricevute, oltre qualche modesta integrazione alimentare che a volte mi passava per portare ai miei) in quanto, dopo avermi fatto un ultimo e grosso favore, avvertendomi riservatamente che la nostra unità stava per essere trasferita in Polonia (potei evitare così questa destinazione per me affatto gradita), ci lasciò improvvisamente in quanto ci dissero che saltò in aria in un attacco partigiano, per noi dovette essere a Roma, in via Rasella ove morirono trentacinque militi del battaglione BOZEN (Bolzano), mezzi italiani fra italiani, per lo più non giovanissimi, ma anche fosse altro sito nulla cambierebbe. In merito ci fu la segretaria del tenente Rothmann che in italo  -  tedesco mi sussurrò “zio Fritz ist kaputt”.Così egli ha aggiunto al suo curriculum anche l’ultimo evento, l’andata al creatore ad opera dei partigiani comunisti e magari essere ricordato a Bolzano nel memorial dedicato ai caduti di via Rasella o in altra lapide commemorativa. Circa l’esistenza di quest’altro monumento ne ho avuta notizia indiretta. Controllerò, eppure Bolzano credevo di conoscerlo. Se possibile andrò un giorno a riverire le altre vittime dell’attentato, oltre quelle delle Fosse Ardeatine. Ciao zio Fritz, ti voglio bene e ricordo sempre, spero anche tu. 

Consideratio
Yankee sconosciuto
Accadde nel reparto ove prestavo servizio. Un giorno in un giubbotto USA proveniente da Anzio, forse di un prigioniero (morto o ferito non credo, sull’indumento non c’erano lacerazioni) trovai in una tasca una busta sgualcita, non chiusa, con all’interno un foglio scritto in maniera disordinata, in un inglese  -  americano succinto, come usano fare nel loro slang d’oltreoceano.  Non lo lessi, salvo un colpo d’occhio d’insieme, né ne sarei stato capace perché, come al solito, era redatto con termini per me ai livelli dell’incomprensibile, malgrado il mio modesto studio della lingua. Sul frontespizio busta figurava poi un difficile indirizzo statunitense, almeno per me, coi  nostri che non prevedevano nemmeno il CAP. C’era infine un’aggiunta nella facciata retro, scritta a matita blu, evidentemente di fretta e in un secondo tempo, che riportava: “..mummy… help …” e poche altre parole non chiare, ove rilevai un “tanks”, “send”. Avrei dovuto consegnare la lettera all’ufficio tedesco, decisi per il no. Quell’ ”help” mi aveva colpito. Passai in borghese il confine Vaticano, guardato da pattuglie di parà della Goering, misi la missiva in una busta e l’imbucai nella cassetta poste SCV. L’avrei potuta consegnare a mano all’ufficio preposto ma non mi fidai. Poteva esserci qualcuno della nostra polizia in servizio di collaborazione, come previsto dal Concordato, magari con il compito di riferire su cose anomale. Data l’efficienza del servizio di assistenza del Papa sono certo che la lettera sia giunta a destinazione e il soldato abbia poi trovato la possibilità di scamparla, tornare a casa.

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