Wednesday, October 3, 2018

Ottobre 04 2018 Giovedì. n° 2714 + 10 NS  (nuova serie). Pensiamo positivo. 

Recordatio  
(fra i Recordatio di oggi aggiungo la festività di San Francesco di Assisi, patrono d'Italia assieme a Santa Caterina da Siena. Auguri a Papa Francesco, a me medesimo, perché no? e a tutti i Francesco - Francesca in Italia e nel mondo) 
   
Cronache romane
I primi anni passano veloci. Frequento a Roma l'asilo comunale situato nel cortile della casa di San Lorenzo, sotto le nostre finestre. Il piccolo edificio sarà distrutto da bombe d’aereo il 19 luglio 1943 e, assorbendone la potenza deflagrante, salverà in parte l’ala del palazzo ove noi abitiamo, distante solo una diecina di metri. In esso è inserviente la zia alla quale sono simpatico e una sua amica; verrò poi a sapere che questa signora, Lina, pur rispettata, presta soldi con interessi da capogiro (anche mio padre a volte ci ricorrerà). Dell'asilo, formato da una grande aula e qualche locale di servizio, ho presenti le finestre alte, lavagne con figure tracciate con gessi colorati, pareti con disegni, banchi malandati e una ridotta area recintata, chiamata impropriamente giardino, col solito paio di alberelli scheletriti. Esso fu realizzato e avviato da Maria Montessori, che vi applicò per la prima volta il suo metodo didattico per bambini. Ho presente anche un gesto di solidarietà dei compagni quando, avendo dimenticato a casa il pacchetto della colazione, riceverò un piattino con spicchi di arancia e qualche biscotto, frutto di una colletta da parte loro. E come dimenticare un Natale da ricchi, con cavolfiori fritti, gallina in brodo e dolci di casa, organizzato dalla nonna, anche a seguito di una vincita al lotto del nonno? (ambo?).  Conosco poi tre cugini più grandi di me, due maschi e una ragazza, figli di un'altra zia romana (pure i nonni di qui non scherzano a figliolanza), da poco rientrata dal Brasile a seguito della morte in loco di tre figli e marito a causa della febbre spagnola, e di un quarto figlio nel viaggio di ritorno, sepolto in mare (altro che le sdolcinate fiction di oggi sui nostri emigranti!). Essa vive in una lontana borgata con i figli superstiti dei quali uno, operaio in cantiere a otto anni, perse in Brasile un occhio a causa di uno schizzo di calce, mentre l’altro, reduce poi dalla guerra in Albania, ove contrarrà un’insidiosa malaria, morirà nel 1944 schiacciato da un cingolato tedesco. Dei tutti di allora rimarrà una sola cugina, oltre due fratelli e una sorella avuti dalla zia con un secondo marito (!) avversato da mio padre sembrando non avesse una vera occupazione e per dei precedenti penali (si rivelerà invece, nel complesso, un discreto consorte e padre). Poi un evento e un viaggio indimenticabili. Mio padre un mattino carica mobili e masserizie su un carro a cavallo, noleggiato per l'occasione, e ci trasferiamo in un’abitazione nuova nella periferia cittadina. Rivedo tale viaggio per me interminabile. Il carro, con noi seduti sul bordo e mio padre accanto al carrettiere, lascia lento siti familiari e traversa una oscura frontiera, la galleria sottostante il cavalcavia ferroviario che divide il quartiere San Lorenzo dall’Esquilino. Oltrepassiamo un’altra barriera, le mura romane di Porta Maggiore, e imbocchiamo la Via Casilina. Alla sinistra c’è il residuo di un boschetto di fronte una palazzina d’altri tempi, di un certo tono, adibita a uffici, seguita da un edificio lungo, basso, con i muri scuri a mattoni, dai cui finestroni si notano cumuli di sacchi pieni di qualcosa, oltre una miriade di macchinari, pulegge e cinghie in movimento. E' il molino Pantanella, che sarà distrutto nel bombardamento del luglio 1943 (non posso immaginare che in questa società avrei passato venticinque anni di lavoro e ne avrei abitati quattordici nel palazzetto uffici). Il carro della speranza (mi pare di leggere Brecht) attraversa gli archi di un altro acquedotto e giunge in piazza Lodi, nel quartiere San Giovanni, scende infine per la via Enna nel cui fondo s’intravede la mole del grande palazzo, appena finito di costruire, ove andremo ad abitare. Sulla sinistra è una villa ampia e ben tenuta, la villa Fiorelli (quanto è minuscola e trascurata oggi!). Sulla destra un edificio ancora più grande e altrettanto nuovo, già abitato, fa compagnia al nostro; è dell'Istituto Nazionale delle Assicurazioni, tutto in affitto, non per proprietari. Intorno alle palazzine tanti prati per le nostre scorribande future. Ci fermiamo all'ingresso del caseggiato.  Di fronte, su una collinetta, si ergono la chiesa e l’Istituto delle suore della Madonna dell'Orto, per ora anche parrocchia (distrutta anch’essa nell’incursione americana del 13 agosto 1943). Siamo arrivati. Mio padre, da solo, esegue una movimentazione triplice di quanto trasportato (il carrettiere lo aiuta solo a scaricare mobili, pacchi e suppellettili dal carro), cioè sposta ogni cosa dal marciapiede esterno al cortile interno, da questi alla base della scala, la nona, e poi tutto su, fino al nostro appartamento, il diciassette, al quinto e ultimo piano, senza ascensore. Per quanto possono mia madre e mio fratello collaborano in qualcosa mentre io sorveglio blandamente quanto in strada e gioco con una calamita e una lanterna magica che si trovano a mia portata. La zona, oggi fra le più affollate di Roma, è l'Appio - Tuscolano. Rimarremo poco fra campi, orti e vigne, tutte imminenti aree fabbricabili. E’ vicina una stazione ferroviaria secondaria, la Tuscolana, ove transitano linee passeggeri minori e convogli merci. Inizia per me un nuovo ciclo di esistenza. Sono eccitato! Mi pare sia la seconda metà del 1931 o i primissimi del 1932. Ho sui quattro anni. La stagione è buona, non calda, forse autunno o primavera. Assieme a noi si stanno trasferendo più di centottanta famiglie; lascio immaginare il traffico e la moltitudine di persone e bambini che circolano indaffarati nei due cortili-giardino, entrambi con aiole fiorite, una fontana centrale con pesciolini rossi e un’edicola con la statua di Santa Geltrude per noi e la Madonnina di Lourdes l’altro. Vedremo come andranno le cose in questa nuova zona e casa. Come quinto piano siamo alti sul quartiere, anche perché di fronte non c’è per ora alcun edificio e la vista spazia in ampiezza e lontananza. Dappertutto, all’interno, sono percepibili gli odori tipici delle case nuove, quali vernici, gessi, calce, cemento fresco. Residui di mattoni, stucchi, tubi, legname, sono ovunque e costituiscono oggetto ambito di nostri recuperi. Che accadrà ora nel mio e nostro futuro? Per me sono felice del cambiamento, non mi pongo problemi, anche perché alla mia età questo è un compito per grandi! Addio casa, amichetti, cortili, asilo di San Lorenzo, non vi appartengo più, la mia identità la si deve ricostruire tutta.

Probabiliter
Il sole sorge ancora
Eccoci pronti, dopo più di due mesi, per il ritorno da Varese a Roma. La casa all'Eur ci attende, ristrutturata durante la nostra assenza. Sono certo che tutto andrà bene. L'infausto Venerdì 17 Luglio è un ricordo, non dico remoto ,in quanto gli eventi che ci hanno messo in ginocchio sembrano di ieri. LadyD ha raggiunto un livello di guarigione dai suoi problemi psyco - fisici che lo darei all’ottanta per cento. Il risultato deriva da una azione tempestiva sia di nostra figlia medico, sia per una equipe sanitaria - ospedaliera di prim'ordine, così per il reparto psichiatrico gallaratese, per la riabilitazione varesina e l'ospitalità sulle rive del lago di Varese. Al tutto ha contribuito l'opera ulteriore di nostra figlia Silvia, il valente architetto di casa, per le ristrutturazioni di bagni, letto, altro, di nostro figlio Alberto, la moglie Anna Maria e la nipote Arianna, delle nipoti Dalia e Stella stupende e insostituibili, che ci hanno tutte- tutti visitato, seguito e garantito un contatto perenne telefonico. Quanto al relax si è trattato di ferie lacustri forzate ma necessarie, visto che, incidenti a parte, la meta doveva essere Abano Terme come lo scorso anno. Per il miglioramento di LadyD devo dare atto che esso in parte concreta è dovuto pure all'opera e dedizione di più badanti, di norma diurne - notturne alternate, che hanno saputo plasmare con professionalità uno status psichico sofferente. Cognomi a parte il loro nome e' Fiamma, una OS (operatrice socio-sanitaria) di polso, gentile, varesina doc, e Eda, giovane signora albanese dalle particolari gentilezze e affettuosità. Come non ringraziarle? Purtroppo la prova per altre romane ha dato più risultati negativi, una ivoriana, una congolese e una eritrea sono risultate inadatte necessitando in primis l'accettazione di LadyD. Ecco poi giungere una moldava ucraina che ha preferito mollare (cercava cose diverse), una romena con concreti problemi del russare, altra che proprio non andava. La penultima prova, in verità positiva, l’abbiamo svolta con una ventitreenne del Burchina-Fasi che con rammarico ci ha lasciato non essendo riuscita a far rivolgere a se le attenzioni di mia moglie. Attualmente abbiamo un ottima romena di mezza età, attiva, pulita, rispettosa, di gradimento di LadyD. Sono sicuro durerà. Resta comunque che i due mesi di passione siano ormai trascorsi, in via principale per lei, il suo corpo, la sua mente, e in parte siano passati anche per i miei arti inferiori offesi il 17 Luglio Venerdì, con la gamba destra semidisfatta dalla lacerazione del bicipite, e l'altra, in tempi remoti debole essa e non l'altra, che fa quello che può, con l'auspicio non vengano più a ripetersi, Inizierà così una novella vita da inventarcela in gran parte. Ripetendo il titolo di un film di Lattuada con Carla Del Poggio, se non erro, eccomi ad affermare, con speranza e soddisfazione Il Sole sorge ancora, perché no?

Consideratio
Ado, gatto di guerra
Alla mia prima esperienza esistenziale ci sarà anche un micio che mi fu amico in tempo di guerra. Perché non ricordarlo? Ado, diminutivo di Adone, per dire quanto fosse prestante, fu il mio primo vero gatto d’inizio. Dovrei correggermi e dire che fui io il suo compagno di vita e non viceversa. Infatti, dopo averlo conosciuto, ebbi il sospetto sia stato lui a scegliere me, cosa d’altronde consueta per i gatti. Erano tempi lontani, settanta e più anni orsono, periodi di indigenza, guerra, di fame, che si deve conoscere sulla propria pelle e non farsela raccontare. Così fu che la micia matriarca del cortile sfornò la consueta squadra di gattini che, se riuniti agli altri, avrebbero formato un battaglione. Qualcuno degli ultimi arrivati, come altre volte, non ce la fece, altri sopravvissero e restarono con la mamma; poi qualcuno sparì, accolto in qualche casa o per aver deciso di andarsene. La piccola comunità se la cavava sia con le cartate di qualcosa da mangiare gettate anche dal quinto piano (evito i dettagli sugli impatti), sia con gli angolini ove rifugiarsi dal freddo. Degli ultimi nati ne rimasero due, un maschio e una femmina. Il ”Lui”, ancora in svezzamento, attirò la mia simpatia per la voglia di giocare, fraternizzare, essere coccolato. Almeno per me era bello e ricordo che noi ragazzetti dell’epoca facemmo un consulto per capire se fosse maschio o femmina, rivoltandolo a pancia su e ispezionandolo sotto la coda. Non c’è da sorridere, a pochi giorni dalla nascita non era poi così evidente. Da subito egli divenne per me, e per gli altri, il “mio micio”, entro certi limiti da rispettare e aiutare. Era come fosse stato sottoposto a un battesimo particolare. Non erano tempi facili per i gatti, altrettanto per i cani solitari che spicciativi gli accalappiacani afferravano con fruste-capestro, gettandoli mezzi strozzati nel furgone comunale prima, poi in un letamaio di lager ove, salvo una remota ipotesi di riscatto, sarebbero finiti in una delle camere a gas alle quali potrebbe essersi ispirato Hitler nella soluzione del problema razziale. I ragazzini di allora, specie se riuniti in branchi, erano feroci e cattivi verso gatti e cani. Li prendevano a sassate, e che sassi! E che mira! a volte riuscivano a ucciderli nella vergognosa indifferenza degli adulti. Ricordo un micio cosparso di benzina al quale fu dato fuoco, oppure gatti ai quali questo servizio sarà per la coda, onde farli correre come pazzi. E che dire dei felini cui era spalmata la colla cervione sul sedere, che per scioglierla doveva essere prima ammorbidita e bollita? Poi ci meraviglieremo delle future efferatezze belliche, magari compiute dagli stessi ragazzi più cresciuti, come se quelle verso questi esseri amici, tanto simili a noi, fossero diverse. Ciò a dimostrare quanto sia incontrollabile il gruppo oggi detto “branco” e allora “banda”, che di guai ne combina e combinava sempre, colpendo soprattutto ragazzine, ragazzini un po’ imbranati, magari persone anziane e non parliamo di animali d’ogni sorta. E non si pensi che il “branco” fosse composto da teppisti o poco di buono, no! Presi singolarmente i ragazzi erano studenti diligenti, figli di operai e impiegati delle Ferrovie (per quanto mi riguardava), frequentavano l’oratorio e la parrocchia, erano assidui nelle palestre e sedi GIL, ove queste violenze non erano tenute in gran conto, trattandosi in fin dei conti di gatti e cani randagi, mangiapane a tradimento, da utilizzare per acchiappare sorci o fare la guardia. Torno al cortile. Al gattino devo dare un nome, ne provo cento poi, a fronte di qualcuno che dice: …“ma che sarà mai? non è mica un Adone!”… decisi per “Ado”, senza ripensamenti. Nella nostra frenesia mentale tutta balilla, Duce, Fuhrer, ci fu chi ritenne che Ado potesse pur valere come diminutivo di “Adolph” (Hitler) giacché l’inconsapevole micio presentava due macchioline sul musetto che, con molta buona volontà, potevano far pensare ai baffetti del dittatore crucco. Pensai pure di cambiarglieo, ma non lo feci, che Adone e Adolph andassero a quel paese, Ado mi piaceva e bene così. Provo a portarlo in casa. La mia mamma lo accetta perché a lei i gatti piacciono, mio padre per alcuni giorni nemmeno se ne accorge in quanto, tornando dal lavoro, è già buio e va a letto presto. Infine il clandestino è scovato e allora per lui in casa non si tiene, e ciò non si discute. Come! Abbiamo un giardino condominiale, anzi due, recintati, protetti, ideali per i mici in libertà, e vogliamo tenerlo in sessanta metri quadri, oltretutto al quinto piano? Poi i gatti danno fastidio, rovinano casa e cose, sporcano, puzzano (quando mai! il suo B.O. (Body Odour) somigliava al Boro Talco). Forse però mio padre i torti non li aveva. Così Ado lo trasferirò nel cortile, col permesso di portarlo in casa al massimo per un’oretta, senza esagerare come durata e giornate. “Giù” gli trovo una tana confortevole, cioè un cubo per  alcuni rubinetti di emergenza. Gli sistemo un giaciglio, poi, su consiglio di una signora, sporco un po’ i bordi con un suo bisognino fatto altrove, aiutandomi con una tavoletta, onde imprimere al luogo una marcatura olfattiva che tenesse lontani altri colleghi e consentisse a lui di riconoscere il suo posto. Così Ado possederà la sua casa, a lato della scala, e lo porterò velocemente “su” soprattutto per fargli mangiare qualcosa. Cresce bene, dimostra di meritarsi il riferimento ad Adone, meno quello all’irascibile Adolph. Stravede per me, è violento nelle effusioni, strusciate. Si comporta da vero felino. Poi un giorno lo becco a corteggiare una urlante micia, sua sorella, e allora apriti cielo! Per noi, ragazzini degli anni trenta, che oltre il Duce dovevamo vedercela coi preti, e in aggiunta alla cultura fascista andavamo anche a dottrina, quelli erano peccati mortali anche se compiuti dai gatti, specie poi con le sorelle. Di conseguenza Ado dovette filarsela, beccandosi uno scappellotto sui fianchi e chiedendosi che razza di compagno si fosse mai scelta. Peggio quando lo vidi fare il cascamorto con la matusalemme della mamma e allora le mie sberle furono più consistenti, come penso le sue rimostranze mentali. Chi ha detto che i mici disdegnino madri e sorelle? Non è vero, lo costatai di persona, almeno per Ado. Giunsero le restrizioni alimentari conseguenti alla guerra, sempre più accentuate, e fu un feroce arrangiarsi per riempirci tutti un po’ la pancia, lui e gli altri del cortile compresi. Io andavo perfino nei campi a raccogliere cicorie e ramolacci, con mio papà che, per incoraggiarmi, mi regalava qualcosa. Fatto è che il vitto era catastroficamente limitato. Non lo ammettevamo ancora, per via del Duce, ma era fame. Ho fatto questo discorso per tornare ad Ado. Non sapevo più cosa dargli. In precedenza si era abituato a un po’ di pasta, legumi, qualcos’altro di minore, come un po’ di grasso, teste di sarde, residui del brodo. Quanto a rigaglie, rifilature, trippa queste cose, se trovate, le usavamo per noi. Così sarà che, sebbene la buona volontà, cominciasse a rifiutare le pietanzine che cercavo di propinargli. Qualcosa la rimediava ancora nel cortile fra le cartate ormai magre che piovevano dal cielo, integrando le proteine anche con lucertole rare, perché anche di loro non se ne trovavano più. I topolini poi erano scomparsi, mentre quelli delle fogne, di cui qualcuno lo notai, erano di tale aggressività e mole che i gatti li avrebbero accoppati loro, non viceversa come dovrebbe. Ado iniziò a dimagrire. Infine un giorno che era in casa notai che mi osservava bramoso mentre masticavo qualcosa. Allora, di sotterfugio, trassi dalla bocca un po’ del mangiare, e glie lo porsi. Incredibile, lo mandò giù in un boccone pur se si trattava di verdure cotte e patate. Avevo trovato il modo per nutrirlo un po’. Così, rinunciando a una parte del mio scarso desinare cominciai a preparargli dei bocconcini tipo polpettine, portandoglieli di nascosto. Qualche legume, cannolicchio, crosta di pane, un’idea di carne o pesce quando c’erano, molta “erba”, divenne la base del suo pasto quotidiano. E lui mangiava tutto, alla condizione che fosse passato prima per la mia bocca. Sarà quel che volete, ma funzionava. Poi Ado si ammalò, eppure era giovane e poco prima in salute. Cominciò a perdere vivacità, deperire. Inutile pensare a veterinari o ambulatori, non c’erano nemmeno per noi. Anche se la mancanza e la povertà del cibo contribuirono a ciò, più probabilmente, ingerì nel cortile qualcosa d’infetto. Poi peggiorò e non sapevo cosa fare per lui, provai a sciogliergli nell’acqua dell’aspirina in polvere (le cartine dei farmacisti), ma non ci fu nulla da fare. Un po’ per volta smise di mangiare almeno per quello da me perocurato. Una sera rientrando notai che, diversamente dal solito, non venne a incontrarmi; si trovava nel suo rifugio. Mi miagolò, aveva il naso che scottava, mi fissò per chiedermi qualcosa o dirmi che mi stava lasciando. Lo coprii con i lembi della copertina che gli cambiavo spesso. Salii in casa e mia madre mi fece recitare per lui una preghierina a Sant’Antonio abate, il protettore degli animali, stavolta non quello di Padova. La mattina Ado era sempre lì, non mi rispose, non si era scomposto, se n’era andato. C’è chi dice che quando muore un animale duole si, ma è pur sempre un animale. E’ errato. Io in quel periodo avevo perso sotto i bombardamenti due amici coetanei, qualche parente e visti tanti morti fra le macerie, ma anche la fine di Ado mi fermò per un attimo il cuore ed ebbi un dolore da non descrivere, perché lo consideravo un fratellino minore, parte di me stesso. Corsi in casa con le lacrime agli occhi, la mamma mi consolò, mio padre si limitò a dire “poveretto!”. Mio fratello militare avrebbe detto qualcosa di simile. Andai al mercato e dal gestore del banco drogheria mi feci regalare una cassettina di legno che aveva contenuto marmellata solida, da vendere poi a tranci. Torno nel cortile e, aiutato da un amico, avvolgo Ado nella coperta e lo sistemo nella cassetta. Gli do un bacio e gli organizzo piccolo funerale. Con l’amico di prima e la scatola ex marmellata fra le braccia, ci spostammo in un’area a orti di guerra, ponendolo in una buchetta evidenziata con un po’ di terra e un paletto. Volevo formare una piccola croce poi pensai che Gesù Cristo con i gatti avesse poco a vedere. Tornerò più volte a incontrare Ado finché un giorno, dopo la guerra, una ruspa spianò tutta l’area, ove passerà una strada, e del micio prediletto perderò ogni traccia fisica, non affettiva. Ciao Ado, che tu sia stato il mio micio o io il tuo amico, cambia poco. Sei stato un compagno nella mia vita non più infantile ma non ancora di maturità. Mi hai insegnato cosa voglia dire l’amore di un gatto qualora, quando, e come, decida di elargirlo, cioè allo stato puro, assoluto. Pur se non è del tutto semplice, è possibile che umani e felini entrino in sintonia di percezioni e sensazioni difficili da descrivere ed essere comprese come si dovrebbe. Come potrò dimenticare lo sguardo di quando mi lasciasti? C’è chi pensa, me compreso, che anche gli animali abbiano un’anima. Se ciò fosse mi illudo che un giorno, spero lontano, io possa incontrarti negli sconfinati cortili celesti ricchi di anfratti, ricoveri, latte, cibi, acqua fresca, e di chiamarti come facevo in tempo di guerra quando, con l’oscuramento totale in atto, mancando la luna e ogni visuale a mezzo metro di distanza, preceduto da un fruscio di foglie, spiccavi un salto per finire sul mio petto, senza mai sbagliare né graffiarmi, e mi rifilavi morsicature amichevoli sul mento. Mi piace pensare che tu venga a trovarmi nella casa d’oggi.

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