Settembre 06 - 2018 - Giovedì - n° 2714 più 5 nuova serie - pensiamo positivo.
Recordatio
Roma, i miei primordi
Anche di mio fratello, cinque anni di più, ho scarsi ricordi. Lo sento poco amico come si può desiderare all'età di due - tre anni; all'epoca sono troppo piccolo per lui e lui troppo grande per me. Lo rammento comunque col grembiule blu e il fiocco della scuola, con i calzoncini neri, il vestito e il berretto da marinaio, in divisa da balilla, nonché impegnato in baruffe fra bambini per difendere me e in qualche scontro fra noi due ove, per ovvii motivi di età, sono destinato ad avere la peggio. Comunque è il mio protettore dalle angherie dei più grandicelli ed io, purtroppo, non gli porto riconoscenza poiché quello che fa rientra per me nei compiti istituzionali del fratello grande, similmente a quelli dei genitori e adulti della famiglia. Devo aggiungere che nella casa, oltre i nonni, vivono due - tre zie e, a volte, uno zio. Dove dormano non so e di loro mi sovviene poco, salvo l'affetto dimostratomi dalla zia maggiore e l’indifferenza delle altre due. Mio nonno è anziano, senza pensione come quasi tutti i vecchi ultrasessantenni di allora, scontroso ma simpatico. Parla di rado, rientra la sera, sovente alticcio, dopo aver mangiato qualcosa in una vicina osteria che considera il suo rifugio. Lo valutano poco, guadagna qualcosa gestendo nel quartiere un banchetto per la vendita di dolcetti per bambini (è la figura del "nonnetto", oggi scomparsa). Io ne approfitto per farmi regalare cioccolatini marca Duomo avvolti in carta rossa, bruscolini e altre leccornie. In precedenza egli conduceva una delle postazioni per piccoli servizi ai viaggiatori, allora numerose alla Stazione Termini. La nonna, massiccia, bassa ma non grassa, decisa e di modi spicci, è una burbera-buona che considera mio padre, non mio nonno, il capo della famiglia. Eppure il nonno ha i suoi lati positivi, sia pur poco palesi. Lo capirò in seguito rammentando:
- i discorsi sui suoi papà e nonno, cioè dcdei miei miei bis e tris avi, che in Anagni avevano un po’ di pecore, capre, terra e gestivano un piccolo molino a pietra, cose che nella metà del 1800 stavano a significare un certo benessere; - il rammarico dell’essersi fatto attrarre, come tanti altri, dall’urbanizzazione della grande Roma quirinalizia, monarchica e post-unitaria;
- la fissazione che la sua stirpe, cioè lui, i suoi, romana d’origine, fosse qualcosa di sostanzialmente importante e indefinibilmente nobile; guai a contestarlo in ciò. Egli, infatti, sulla fine del 1800, fece redigere due alberi genealogici dettagliati della famiglia sua e di mia nonna, che gli costarono varie decine di lire d’allora, un capitale, incaricando a ciò uno dei notai anagnini autorizzati a consultare i registri vescovili e civili, rimasti integri per nove – dieci secoli, visto che Anagni fu coinvolta blandamente nelle invasioni barbariche.Del suo albero ricordo la presenza di nobilastri nell’entourage del Papa, la loro provenienza da Roma, il trasferimento in Anagni con Bonifacio VIII e poi, per altri, anche ad Avignone, sempre al seguito del Papa. Grazie a questa provenienza romana di secoli prima guai a dirgli di essere un ciociaro frusinate! Non svalutava Anagni ma si considerava più romano degli ebrei. Quello di mia nonna lo rammento meno pur se il suo cognome, simile a un piccolo centro dell’Emilia Romagna, mi ha fatto pensare, forse errando, a qualche antenato ebraico ivi trasferito dal Papa, magari convertito. Purtroppo questi due poster si sono dispersi col bombardamento del luglio 1943 e a nulla sono valse le ricerche per rintracciarli. Forse si sono smarriti con l’andirivieni dei vigili del fuoco, UNPA (Unione Nazionale Proteziome antiaerea) militari, negli appartamenti vuoti nell’ala pericolante del palazzo, adiacente quella colpita e distrutta sia come materiale edilizio, sia come la biblica erodiaca strage degli innocenti
Probabiliter et Consideratio
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Recordatio
Roma, i miei primordi
Anche di mio fratello, cinque anni di più, ho scarsi ricordi. Lo sento poco amico come si può desiderare all'età di due - tre anni; all'epoca sono troppo piccolo per lui e lui troppo grande per me. Lo rammento comunque col grembiule blu e il fiocco della scuola, con i calzoncini neri, il vestito e il berretto da marinaio, in divisa da balilla, nonché impegnato in baruffe fra bambini per difendere me e in qualche scontro fra noi due ove, per ovvii motivi di età, sono destinato ad avere la peggio. Comunque è il mio protettore dalle angherie dei più grandicelli ed io, purtroppo, non gli porto riconoscenza poiché quello che fa rientra per me nei compiti istituzionali del fratello grande, similmente a quelli dei genitori e adulti della famiglia. Devo aggiungere che nella casa, oltre i nonni, vivono due - tre zie e, a volte, uno zio. Dove dormano non so e di loro mi sovviene poco, salvo l'affetto dimostratomi dalla zia maggiore e l’indifferenza delle altre due. Mio nonno è anziano, senza pensione come quasi tutti i vecchi ultrasessantenni di allora, scontroso ma simpatico. Parla di rado, rientra la sera, sovente alticcio, dopo aver mangiato qualcosa in una vicina osteria che considera il suo rifugio. Lo valutano poco, guadagna qualcosa gestendo nel quartiere un banchetto per la vendita di dolcetti per bambini (è la figura del "nonnetto", oggi scomparsa). Io ne approfitto per farmi regalare cioccolatini marca Duomo avvolti in carta rossa, bruscolini e altre leccornie. In precedenza egli conduceva una delle postazioni per piccoli servizi ai viaggiatori, allora numerose alla Stazione Termini. La nonna, massiccia, bassa ma non grassa, decisa e di modi spicci, è una burbera-buona che considera mio padre, non mio nonno, il capo della famiglia. Eppure il nonno ha i suoi lati positivi, sia pur poco palesi. Lo capirò in seguito rammentando:
- i discorsi sui suoi papà e nonno, cioè dcdei miei miei bis e tris avi, che in Anagni avevano un po’ di pecore, capre, terra e gestivano un piccolo molino a pietra, cose che nella metà del 1800 stavano a significare un certo benessere; - il rammarico dell’essersi fatto attrarre, come tanti altri, dall’urbanizzazione della grande Roma quirinalizia, monarchica e post-unitaria;
- la fissazione che la sua stirpe, cioè lui, i suoi, romana d’origine, fosse qualcosa di sostanzialmente importante e indefinibilmente nobile; guai a contestarlo in ciò. Egli, infatti, sulla fine del 1800, fece redigere due alberi genealogici dettagliati della famiglia sua e di mia nonna, che gli costarono varie decine di lire d’allora, un capitale, incaricando a ciò uno dei notai anagnini autorizzati a consultare i registri vescovili e civili, rimasti integri per nove – dieci secoli, visto che Anagni fu coinvolta blandamente nelle invasioni barbariche.Del suo albero ricordo la presenza di nobilastri nell’entourage del Papa, la loro provenienza da Roma, il trasferimento in Anagni con Bonifacio VIII e poi, per altri, anche ad Avignone, sempre al seguito del Papa. Grazie a questa provenienza romana di secoli prima guai a dirgli di essere un ciociaro frusinate! Non svalutava Anagni ma si considerava più romano degli ebrei. Quello di mia nonna lo rammento meno pur se il suo cognome, simile a un piccolo centro dell’Emilia Romagna, mi ha fatto pensare, forse errando, a qualche antenato ebraico ivi trasferito dal Papa, magari convertito. Purtroppo questi due poster si sono dispersi col bombardamento del luglio 1943 e a nulla sono valse le ricerche per rintracciarli. Forse si sono smarriti con l’andirivieni dei vigili del fuoco, UNPA (Unione Nazionale Proteziome antiaerea) militari, negli appartamenti vuoti nell’ala pericolante del palazzo, adiacente quella colpita e distrutta sia come materiale edilizio, sia come la biblica erodiaca strage degli innocenti
Probabiliter et Consideratio
Chiusura “Ragazzi di Portoria”
Il libro è terminato e ciò m’impone una
riflessione. Dal punto di vista personale, non pubblico (ma c’era differenza
allora?) E’ stato giusto il mio entusiasmo per il Duce, il fascismo, la sua
dottrina, idee, alleanze, opere, oltre i tanti errori? Non è facile rispondere.
Il giudizio ritengo debba riferirsi a tre periodi. Il primo concerne la mia
infanzia e giovinezza sino al 1940, collegato ai balilla, Patria, Italia, che
allora costituivano cosa unica. Potrei aggiungervi figure a Lui suppletive,
Ciano che ne sposò la figlia, il Fuhrer tedesco, un re piccolo la cui funzione
non mi spiegavo, e il Papa che pensavo fosse il Duce dei preti. Furono anni di certezze, studi severi,
famiglie numerose, indigenza, oggi sarebbe povertà. Arrivarono nel trentotto le leggi
antiebraiche, capite poco dal popolino e da me infante, scopiazzate da quelle dei
tedeschi che in merito si comportarono con estrema infamia, comunque con
problemi diversi visto che per quanto ci riguarda, di ebrei, italiani ne avevamo
in tutto cinquanta - sessantamila e non milioni come loro e paesi
viciniori. Il secondo periodo lo coincido con l’inizio
della guerra per la quale trovai irrazionalmente una miriade di plausibili
motivazioni. Tutto finì come finì e fummo coinvolti in una realtà tragica.,Via il Duce, via il Fascismo, via la G.I .L., via la guerra, via
l’alleanza con la Germania ,
via il re da Roma, risorge un Mussolini non più fondatore dell’impero con uno
stato repubblicano anomalo, rivoluzionario. L’Italia divenne una grande
mezzadria, metà monarchica, metà repubblicana; metà coi fascisti, metà coi
badogliani, metà pseudo democratica, metà nazifascista; metà al sud, metà al
nord, E’ da allora che iniziò lo sfascio che oggi ci preoccupa. Di positivo c’era che una delle due avrebbe
finalmente vinta una guerra con una parte o l’altra, come fanno oggi i
democristiani nel centro - sinistra e centrodestra fregandoli entrambi.,Arrivò poi la divisione fra chi scelse la RSI , chi la resistenza, chi il
re, i più niente di niente. Questa fu la realtà affrontata da un giovane che
concepiva il mondo o bianco o nero, senza sfumature, e dovendo fare una scelta
ritenne di seguire il Duce. Così decisi di far qualcosa per lui, nella
convinzione che la guerra fosse persa anche per la Repubblica del Nord. Che poi io sia finito come ausiliario nella Wehrmacht
è un caso della vita. Giunse la fine definitiva. Il Duce ammazzato,
altrettanto i suoi seguaci e un mare di fascisti e pseudo - tali,
coi tribunali del popolo senza appelli, gli slavi, con la delinquenza politica,
comune. Passo al terzo periodo, un dopoguerra duro e una difficile militanza
diversa, rivolta per lo più a bloccare i social
- comunisti di sempre e aiutare
pochi disperati in difficoltà, soprattutto ex Repubblica Sociale. Il resto è
vita di ieri, di oggi. Ovvio che nel tempo abbia variato il modo di valutare
gli ideali della giovinezza, sia pure non sostanzialmente. Sono cambiati tempi, uomini, mete. Direi che
il mondo d’oggi non è più quello d’una volta.
Al quesito che mi sono posto non ho dato però una risposta. Cioè furono
il fascismo e l’opera del Duce positivi per il paese? Potrei contestare loro
mille cose non perfette, prepotenze, violenze, diritti non riconosciuti, anche
se non ignorati del tutto contrariamente a quanto si ritenga. Non escludo però
le tante opere, idee, dottrine, leggi ben fatte e applicate che hanno lasciato
traccia profonda nel dopoguerra, nei tempi successivi, e ancora oggi. In conclusione il mio giudizio, da quello
dogmatico del primo balilla si manterrà per il futuro, malgrado ombre pesanti
“alquanto” positivo, criticamente positivo insomma. Sono certo che se il fascismo non fosse
caduto le sue carenze sarebbero state corrette e i suoi indirizzi avrebbero
potuto continuare a indirizzare la nostra vita nazionale. Concludo dicendo che in me non può essere
cancellato l’imprinting che acquisii col Duce e il Fascismo. Il mio inconscio
racchiude le esperienze recenti e remote, mie e di altri. Sono sempre pronto sia a riconoscerne errori,
sia al confrontarmi sulle positività. Il pensiero del Duce, di Hegel, dello
Stato Etico, di Gentile, Croce, non mi hanno lasciato e ringrazio il fato di
avermi data l’opportunità di trovarmi nei tempi in cui ho vissuto. Il libro termina anche perché la mia giovinezza
anagrafica è trascorsa da un pezzo, non quella interna, mi sembra ieri quando
parlo di “allora”, stupendomi che continui ad essere così attuale. Quanto
alle opere nate per lasciare una traccia del tempo, più che di me, ho cercato
di essere il più obiettivo possibile. L’ho detto più volte, i fatti, persone,
eventi da me esposti hanno sempre una base di realtà, più concreta per vicende
personali, più sfumata per le altre. Devono essermi tollerate, accettate, le
varianti, sintesi, deduzioni ritenute opportune avendo fatto lavorare
oltretutto solo memoria e fantasia. Non ho inteso trasmettere un diario
consueto, sovente formale e banale, quanto sensazioni ed emozioni su chi
incontrai, sul Duce, gli eventi di allora.E’
così che dopo Fiaccole di Gioventù è nato questo testo, Ragazzi di Portoria,
impegnato maggiormente sul periodo successivo al crollo italico, almeno per me. Seguirà
un terzo che completerà il Trittico della Memoria. Penso di aver mantenuta la
promessa fatta a me stesso e ai precedenti amici di parlare a cuore aperto del
Duce, anche esprimendo dubbi, oltre che lodi e riconoscimenti. Non nascondo la
soddisfazione di avere compiuto un excursus nei miei anni giovanili e
successivi che, in verità, non avrei sognato di affrontare se non avessi iniziato
a scrivere qualcosa su sollecitazione di un bel po’ di giovani, raggruppando la
fatica in Fiaccole di Gioventù ed a seguire gli altri del Trittico. Il loro
appoggio e sprone mi hanno spinto a continuare. Complice così un team di
ragazzi entusiasti, Gorrini che col suo inserto ha incentivato i successivi, è
nata quest’opera dedicata al Duce,, ai suoi uomini, positività e negatività,
nonché il prossimo “Diario”, d’impostazione particolare
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